Alimentazione biologica: rivoluzione o classismo?

“L’agricoltura biologica decolla”, dichiara il quotidiano francese Le Monde, ma non è l’unico a constatarlo. Tra il 1999 e il 2004 le superfici coltivate secondo i principi biologici nel mondo sono triplicate. La domanda cresce anche perché, con il rincaro dei prodotti alimentari convenzionali, la differenza di prezzo diminuisce.

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di Elisabeth Zoja


I prodotti considerati biologici, cioè coltivati senza l’utilizzo di pesticidi chimici e non geneticamente modificati, oltre ad essere più sani, hanno anche meno impatto sull’ambiente, perché il loro terreno trattiene quasi sei volte la quantità di carbonio trattenuto nella coltivazione convenzionale.

Questo evita la liberazione di parecchia anidride carbonica e, di conseguenza, riduce l’effetto serra. Ogni persona che passa dall’alimentazione convenzionale a quella biologica per ogni prodotto fresco risparmia il 30% di CO2 emesso nell’aria.

Inoltre, il processo di coltivazione biologica comporta un notevole risparmio energetico: secondo un rapporto pubblicato dalla Federazione internazionale del movimento per l’agricoltura organica, essa utilizza tra il 30 e il 70% di energia in meno per particella di terra. Infatti, gli agricoltori biologici hanno meno bisogno di macchine e apparecchiature.

I rendimenti di quest’agricoltura sono mediamente inferiori del 50% rispetto a quelli dell’agricoltura convenzionale. Viene da domandarsi se il risparmio energetico sia effettivo o fittizio, visto che per la stessa quantità di produzione bisogna coltivare una maggior superficie. Inoltre i prodotti biologici hanno talvolta un imballaggio superiore a quello dei convenzionali: molti tipi di riso e di muesli biologici, ad esempio, oltre alla scatola di cartone si trovano imballati in dei sacchetti di plastica salvafreschezza.

Per quel che riguarda cosmetici biologici vi è spesso sia un imballaggio di vetro sia di cartone. Inoltre le vaste spiegazioni sul metodo di produzione comportano una paradossale ricchezza di fogli illustrativi.

Bisogna quindi non limitarsi all’impatto ambientale della produzione agricola ma valutare anche quello del suo imballaggio. Per misurare anche l’energia necessaria a smaltire la confezione molti prodotti francesi - non necessariamente biologici - riportano il cosiddetto “indice carbonio”: una cifra che somma la quantità di carbonio utilizzato per produrre la merce, per imballarla, per trasportarla e per riciclarne la confezione (malgrado manchi la raccolta differenziata).


Un’altra questione paradossale è il “classismo” dei prodotti biologici: quel che si risparmia in energia e in emissioni di CO2, lo si spende pagando un prezzo maggiore rispetto ai prodotti convenzionali. Per motivi sia economici che culturali il prodotto biologico difficilmente raggiunge ceti più bassi.

Per quel che riguarda gli Stati Uniti l’autore di Fast food nation, Eric Schlosser, spiega che “la maggioranza degli americani - i comuni lavoratori, i poveri, le persone di colore - non hanno un ‘posto a tavola’ in Slow Food. Il movimento per l’agricoltura sostenibile deve fare i conti con il semplice fatto che non sarà mai sostenibile senza queste persone.”

Anche a questo problema la Francia sta cercando delle soluzioni: da ottobre in poi lo stato darà ulteriori 12 milioni di euro l’anno in sostegno dell’agricoltura biologica. Il ministro dell’agricoltura francese Michel Barnier spiega che questi aiuti permetteranno, entro il 2012, l’estensione delle terre coltivate biologicamente dal 2 al 6% della superficie agricola totale.

In fatto di superficie “biologica”, però, l’Italia è all’avanguardia rispetto alla Francia e anche rispetto a gran parte dell’Europa: circa l’8% della superficie agricola, cioè più di 1 milione 148 mila ettari, è già coltivata secondo principi biologici.

La maggior parte dell’Europa si trova invece sotto il 5% e paesi come l’Islanda, la Turchia e la Russia addirittura sotto lo 0,5%. Per quel che riguarda l’agricoltura biologica i leader del mondo sono Austria e Svizzera, i cui terreni “bio” superano il 10% della superficie coltivata.

Gli Stati Uniti si trovano invece, assieme a Sri Lanka, Salvador e Uganda, tra gli ultimi della lista, con una superficie “biologica” tra lo 0,5 e l’1% (fonte: FiBL 2008).

D’altro canto l’iniziativa piemontese Slow food, che promuove cibi organici, ha avuto successo anche in America. Nei primi giorni di settembre si sono riuniti a San Francisco 60 mila suoi “fans”, arrivati per mangiare, ma anche per dibattere sul futuro dell’agricoltura sostenibile.


I fautori dell’agricoltura biologica promuovono anche la vendita diretta, che implica prezzi più bassi e ancora meno impatto sull’ambiente a causa della riduzione dei trasporti.

È paradossale il fatto che si debba pagare di più per ottenere prodotti più semplici e naturali. Una volta tutta la produzione agricola era biologica, solo senza il marchio. È come se ci stessimo pentendo di avere inventato pesticidi e OGM e cercassimo di tornare indietro, pagando cara l’inversione di marcia.

Sembra non ci siano alternative. L’uso dei pesticidi e degli OGM è conveniente perché aumenta i rendimenti, nel tempo però, danneggia sia l’ambiente sia la salute dei consumatori.

21 Ottobre 2008 - Scrivi un commento
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