Nuvole del cielo e bufere dell’anima

Non è mai esistito un tempo in cui l’essere umano non sia stato intrinsecamente legato all’ambiente che lo circonda. Tale unione trascende il ruolo primario che la natura svolge per la sopravvivenza: sottili corrispondenze legano mare, cielo e terra alla nostra anima. Ecco perché “gli artisti che intendono esprimere la natura sciolta dai sentimenti che essa ispira si assoggettano ad un’operazione bizzarra”

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di Alessandra Profilio


Il primo uomo sulla terra al suo primo respiro ha scoperto che l’aria infonde il soffio vitale, sin dal primo passo ha capito che il suolo e i suoi abitanti sono i garanti del suo nutrimento. Non passò molto tempo prima che quello stesso uomo si rendesse conto che i capricci del cielo e i sussulti del mare minacciano la sua esistenza.

Dopo anni, secoli, millenni, guerre, scoperte e rivoluzioni, l’uomo è ancora legato al suo grande, eterno partner: il cosmo. Un inossidabile rapporto che ha conosciuto notevoli cambiamenti e scambi di ruolo: l’uomo è stato ora succube ora dominatore, ora complice ora vittima, ora schiavo, ora padrone. Eppure mai nella storia c’è stato un momento in cui il fitto nodo che stringe la nostra vita a quella del pianeta si sia sciolto.

Tale legame trascende il ruolo primario che l’ambiente svolge per la sopravvivenza fisica di ognuno di noi. Il grande poeta Charles Baudelaire afferma a tal proposito in un testo sull’arte: “Gli artisti che intendono esprimere la natura sciolta dai sentimenti che essa ispira si assoggettano ad un’ operazione bizzarra”: cielo, terra e mare raggiungono l’anima dell’uomo indirizzandone i moti e l’arte che ritrae tali elementi non può tralasciare questo aspetto.

Alle essenziali e palesi influenze tra uomo e pianeta si aggiungono infatti sottili corrispondenze tra la natura e la nostra interiorità. Corrispondenze forti ma astratte, immateriali ma potenti sono quindi quelle che, in base alla predisposizione d’animo, percepiamo in modo più o meno intenso. “Tutto risuona unito in un accordo, l’anima singhiozza forte di gioia e vola intorno nello spazio infinito, non vi è più sopra né sotto, né tempo, principio o fine…”, scrive l’artista romantico Philipp Otto Runge, pittore di paesaggi.

La natura suscita sempre in tutti qualcosa ed è proprio questo “qualcosa” che gli artisti sottraggono alla fugacità del momento per fissarlo su una tela destinata all’eternità.

In epoche diverse il genio dell’artista si è posto difronte alla natura cogliendone, con diversi atteggiamenti, le sue molteplici caratteristiche e, talvolta, le intime connessioni con il nostro Io.

C’è stato chi non si è curato delle componenti più semplici del paesaggio perché le considerava inadatte per un bel dipinto, c’è stato chi ha imitato minuziosamente ogni dettaglio di un prato e i riflessi di un lago e c’è stato quel pittore a cui non importava usare i pennelli per copiare un soggetto con cura e precisione ma ha piuttosto riportato nella sua opera la percezione visiva che tale soggetto aveva dato ai suoi occhi.

E ci sono stati momenti in cui sulla tecnica, sulle convenzioni passate, sui criteri di verosomiglianza e sull’impressione oculare ha prevalso la personalità dell’artista che si è posto quindi difronte alla vastità dell’universo naturale non per imitarla ma per sentirla dentro.

Quando l’autunno porta via la linfa vitale alle foglie anche la parte più allegra di noi si spegne ed è la malinconia a prendere il sopravvento. Al contrario il sole che fa splendere il verde delle piante illumina le nostre giornate. La luce rossastra dell’alba e del tramonto colpisce il cuore, i cieli cupi rannuvolano il nostro animo e i tuoni di una tempesta acuiscono un tormento interiore.

“Il compito dell’artista non consiste nella fedele rappresentazione del cielo, dell’acqua, delle rocce e degli alberi; sono la sua anima e la sua sensibilità a doversi rispecchiare nella natura. Riconoscere, penetrare, accogliere e riprodurre lo spirito della natura con tutto il cuore e con tutta l’anima è dunque il compito di un’opera d’arte”.


Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818
Questa è la creazione artistica secondo Caspar David Friedrich, uno dei più alti esempi della pittura romantica. Il pittore nordeuropeo riesce nelle sue opere a dare una delle più alte testimonianze di uno dei concetti chiave del Romanticismo, il

sublime: una bellezza grandiosa, affascinante e insieme ostile e paurosa, una bellezza che si discosta dagli ideali classici di equilibrio e di compostezza e si manifesta in natura in orizzonti sconfinati e paesaggi di cui non si intravede il limite.

La natura “semplice, nobile e grande”, è manifestazione del divino, è vasta ed imponente ed è luogo privilegiato dell’esperienza spirituale dell’uomo, un minuscolo puntino in contemplazione dell’infinito. La grandiosità dei paesaggi si traduce in forza nei dipinti di un altro grande artista romantico, William Turner, che ritrae la potenza della natura nelle bufere e negli incendi, la natura nei suoi elementi indomabili: l’acqua e il fuoco. Dentro le luci che questi irradiano le forme si dissolvono e diventano quasi impercettibili ma questo non ha importanza: ciò che conta è l’impeto, il terrore, la passione, la seduzione che la natura provoca e alla bufera del cielo si unisce quella dell’animo

13 Gennaio 2008 - Scrivi un commento
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