Biohazard

I perchè del no al Tav

A distanza di due settimane, affrontiamo nuovamente lo spinoso problema rappresentato dalla costruzione del Tav con un articolo di Marco Cedolin, autore di TAV in Val di Susa un buio tunnel nella democrazia, che illustra le ragioni di chi critica l'accordo tra i "sindaci" e il governo e ritiene che dietro le novità di facciata, si nascondano ancora grandi danni per ambiente, cultura e persone.

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di Marco Cedolin


Dopo la sottoscrizione del cosiddetto accordo di Pra Catinat, avvenuta alla fine di giugno, portando a compimento quasi 2 anni di lavoro dell’Osservatorio sulla Torino Lione presieduto dall'architetto Mario Virano, sui giornali ed in televisione è stato scritto e detto praticamente di tutto, generando per forza di cose una grande confusione nell’opinione pubblica italiana che ha perduto ogni coordinata che potesse consentirle di valutare oggettivamente gli sviluppi della questione TAV in Val di Susa.

Proviamo allora a mettere un poco di ordine nello stupidario mediatico di questi giorni, cercando di fare chiarezza laddove il carrozzone politico e quello dell’informazione hanno invece creato quella confusione necessaria a veicolare l’immagine di una Valle di Susa ormai mansuefatta e disposta ad accogliere con gioia i binari dell’alta velocità.

I sindaci che hanno partecipato ai lavori dell’Osservatorio Virano, alle riunioni di Palazzo Chigi, all’accordo di Pra Catinat ed il 29 luglio scenderanno nuovamente a Roma per incontrare prima il Presidente della Repubblica e poi il governo insieme al quale dovrebbero ufficializzare l’inizio del nuovo corso del TAV, non rappresentano la grande maggioranza dei cittadini valsusini che fin dall’inizio non hanno condiviso il loro percorso opponendosi con veemenza tanto all’Osservatorio Virano quanto alla linea progressivamente sempre più possibilista portata avanti dagli amministratori. A riprova di ciò la scorsa estate in occasione della richiesta del finanziamento UE in favore dell’opera, portata avanti proprio tramite l’Osservatorio, ben 32.000 cittadini (in grandissima parte valsusini) di una Valle che ospita 60.000 abitanti hanno sottoscritto un documento di durissima opposizione a qualunque ipotesi di nuova infrastruttura ferroviaria, ponendosi nettamente in contrasto con i propri sindaci.

Il governo (sia quello precedente che quello attuale), Virano e la grande maggioranza dei sindaci, diventati “collaborazionisti” e capitanati da Antonio Ferrentino (che da adesso in poi chiamerò semplicemente “i sindaci” per facilità di comprensione) non hanno mai dialogato con la popolazione ma si sono limitati a portare avanti un percorso condiviso solamente da loro nel buio delle stanze dell’Osservatorio. La posizione portata avanti dai “sindaci” all’interno dell’Osservatorio e nelle conferenze dei sindaci non è mai stata condivisa con i cittadini e neppure all’interno dei consigli comunali che non sono mai stati convocati sull’argomento prima di prendere le decisioni.

Ai cittadini è stato più volte impedito con l’uso della forza pubblica di assistere tanto alle riunioni dell’Osservatorio quanto alle conferenze dei sindaci, durante le quali non è stato permesso l’accesso neppure ai giornalisti che hanno reiteratamente protestato.

“I sindaci” hanno usato i due tecnici assunti dalla Comunità Montana Bassa Valle di Susa, stipendiati con oltre 40.000 euro a spese dei contribuenti, per presenziare alle riunioni dell’Osservatorio e per redigere un progetto a tappe di costruzione dell’infrastruttura per l’alta velocità, denominato FARE (Ferrovie Alpine Ragionevoli Efficienti) che è stato presentato a Pra Catinat senza prima essere stato discusso nei consigli comunali, né tanto meno proposto alla popolazione. In questi giorni il progetto FARE, già allegato preventivamente al documento/accordo di Pra Catinat è oggetto di discussione all’interno dei consigli comunali, parte dei quali lo stanno bocciando, ed “i sindaci” in compagnia dei due tecnici che lo hanno redatto stanno organizzando una serie di assemblee durante le quali tentano di presentarlo ai cittadini come un compromesso percorribile.

La stragrande maggioranza dei cittadini presenti alle assemblee non nasconde la propria delusione e sta manifestando aperta contrarietà nei confronti del progetto FARE (e dei suoi estensori) giudicato nel migliore dei casi un “cavallo di Troia” finalizzato a far entrare nascostamente dalla finestra il TAV che nel 2005 era stato sbattuto a calci fuori dalla porta.

Il 29 luglio a Roma, dopo avere ricevuto la benedizione del Presidente Napolitano, “i sindaci” non saranno comunque chiamati a discutere del FARE ma del nuovo progetto di LTF concernente il TAV Torino – Lione che verrà messo a punto nel corso dei prossimi mesi sotto l’abile regia di Mario Virano.


La nuova “filosofia del dialogo” magnificata come portatrice di grandi risultati da Virano e dal governo, ed avallata in tutta fretta perfino da alcune associazioni ambientaliste come Legambiente e il WWF, semplicemente non esiste in quanto nessuno in questi due anni ha dialogato con i cittadini, né gli stessi hanno condiviso alcunché. L’unica forma di dialogo ha avuto per oggetto “i sindaci” la cui posizione si è gradualmente appiattita su quella di chi proponeva l’opera, senza che nessuno avesse dato loro mandato per farlo.

In Val di Susa oggi la situazione è praticamente la stessa del 2005, prima dell’occupazione militare e degli incidenti. La popolazione non vuole il TAV né sopra, né sotto, né a destra, né a sinistra ed è disposta a battersi contro la costruzione di qualunque nuova infrastruttura. “I sindaci” in odore di compensazioni, di concerto con il governo, stanno cercando senza successo di convincere i cittadini ad accettare un’opera che loro stessi hanno più volte giudicato devastante ed inutile, premurandosi di tenere comunque una porta aperta qualora in futuro tornasse conveniente cavalcare quella stessa protesta che già li rese “famosi” 3 anni fa.

Vediamo adesso le ragioni del No al Tav

L’unico progetto definitivo esistente per quanto riguarda la tratta ad alta velocità/capacità Torino – Lione è quello che corre sulla sinistra della Dora e prevede un tracciato di 254 chilometri di cui 47 km. di Tratta Nazionale Italiana affidata a RFI, 72 km. da Borgone a Sain Jean de Maurienne di Tratta Internazionale affidata a LTF e 135 km. di Tratta Nazionale Francese.

Dopo le note vicende dell’autunno 2005 quando l’inizio dei lavori, portato avanti mediante la militarizzazione della Valle di Susa e l’uso della forza, fu bloccato da una vera e propria sommossa popolare, le ipotesi di progetti alternativi presentati più o meno ufficialmente si sono succedute senza sosta. Alcuni percorrevano la Valle transitando sulla destra della Dora, altri correvano al centro ricorrendo all’interramento dei binari. Ultimo della serie il progetto FARE (Ferrovie Alpine Ragionevoli ed Efficienti) redatto dai tecnici della Comunità Montana Bassa Valle di Susa ed appoggiato dai sindaci che non contempla una vera e propria ipotesi di tracciato, ma semplicemente descrive in maniera discorsiva un sistema finalizzato a costruire l’alta velocità in Valle attraverso varie tappe, partendo dal nodo ferroviario di Torino per arrivare infine al tunnel di comunicazione con la Francia.


A prescindere da quale sarà realmente il tracciato sul quale il governo punterà per rilanciare il progetto del TAV Torino – Lione, le motivazioni che determinano l’opposizione dei valsusini nei confronti dell’infrastruttura per l’alta velocità e di qualsiasi nuova infrastruttura ferroviaria venga ad aggiungersi a quelle già esistenti, restano comunque praticamente immutate e sono sostanzialmente di carattere economico, ambientale e sociale.

Economico perché la costruzione di un’ infrastruttura dai costi spaventosi (16 miliardi di euro previsti ma si stima potrebbero venire raggiunti perfino i 65 miliardi di euro) non è motivata da alcun tipo di esigenza, mancando tanto i passeggeri quanto le merci che dovrebbero correre sulla nuova linea. L’attuale linea internazionale a doppio binario che al termine dei lavori di ammodernamento previsto per il 2009 sarà accreditata per un volume di traffico di circa 220 treni/giorno, equivalente a quasi 30 milioni di tonnellate/anno di merci è attualmente sfruttata solo al 37% delle sue potenzialità. Il numero dei viaggiatori è costantemente in calo, al punto che gli unici due treni giornalieri del collegamento diretto Torino – Lione sono stati soppressi da tempo per mancanza di passeggeri. Il traffico merci è vistosamente in calo dal 2001, non solo sulla linea ferroviaria dove è sceso a 5,9 milioni di tonnellate/anno ma anche sull’asse autostradale del Frejus dove negli ultimi 6 anni è calato di oltre il 20%.

Ambientale perché la Valle di Susa è una valle alpina larga mediamente un chilometro e mezzo, già pesantemente infrastrutturizzata e inquinata, basti pensare che nell’esiguo spazio all’interno del quale sono presenti molte realtà industriali corrono attualmente un’autostrada, una linea ferroviaria internazionale, un elettrodotto, 2 statali e alcune provinciali. Appare perciò evidente come in un contesto di questo genere la presenza di un’ulteriore infrastruttura pesante finirebbe per pregiudicare gravemente la situazione attuale già in parte compromessa.

La costruzione delle gallerie per il TAV perforerà montagne dove è comprovata la presenza di amianto ed uranio che potrebbero disperdersi nell’ambiente con gravi conseguenze per la popolazione dal punto di vista sanitario. Perforare le montagne per realizzare i megatunnel determina (come già accaduto durante la costruzione del TAV nel Mugello) il prosciugamento e l’inquinamento delle falde idriche e lo stravolgimento degli equilibri idrogeologici, con conseguenze gravissime ed irreparabili per gli abitanti condannati a convivere con la penuria d’acqua in un ambiente profondamente degradato.


Sociale in quanto nessuna persona sana di mente aspira a vivere all’interno di un corridoio di transito inquinato e degradato, dove il cosiddetto “effetto Bronx” determina il crollo del valore degli immobili e pregiudica la qualità della vita degli abitanti. Inoltre qualunque prospettiva di sfruttamento in chiave turistica del territorio, indispensabile per creare alternative occupazionali future alla luce della sempre più grave crisi del sistema industriale, verrebbe compromessa dalla presenza pluridecennale d’immensi cantieri e relativa movimentazione di mezzi pesanti. Difficilmente i turisti sono attirati da montagne senza acqua, torrenti secchi, suoli ed aria degradati. Tutto ciò all’interno di una valle alpina dove l’integrità dell’ambiente e la bellezza del paesaggio sono le uniche vere risorse naturali che possono fare la differenza e garantire un prospero futuro ad una popolazione che continua a nutrire l’aspirazione di potere vivere in un “salotto” fiorito e pieno di sole, anziché in un buio corridoio al servizio della logistica.

(Dopo aver ricevuto questo articolo, abbiamo rivolto due ulteriori domande a Marco Cedolin e qui pubblichiamo le sue risposte, ndr)

Perché la costruzione di una linea ferroviaria comporterà nuovo inquinamento sebbene nell’accezione comune il treno è sempre visto come il mezzo più pulito?

Le infrastrutture per i treni ad alta velocità non hanno nulla in comune con le normali linee ferroviarie, trattandosi di infrastrutture molto più pesanti e complesse sia nella costruzione e negli impatti ambientali da essa derivante, sia nella manutenzione e nel sistema di distribuzione dell'energia elettrica necessario per muovere i treni. Tali impatti ambientali aumentano in maniera esponenziale quando la costruzione delle tratte avviene mediante lo scavo di megatunnel di 50 e più km che devastano irreversibilmente tutti gli equilibri idrogeologici dell'intera area.

Il treno è un mezzo più pulito (nel senso di meno inquinante e meno affamato di energia) del tir o dell'autobus solamente quando si parla di un treno normale (non certo di un TAV) e si parte dal presupposto che tutti questi mezzi corrano su infrastrutture già esistenti.

Se si parla di treni ad alta velocità (come nel nostro caso) e si comprende nel confronto (come sarebbe impossibile non fare) anche la costruzione delle infrastrutture sulle quali i mezzi dovranno correre, il treno diventa per forza di cose il mezzo meno "pulito" rispetto a quelli presi in considerazione.

A questo riguardo credo siano illuminanti i risultati di un Dottorato di Ricerca redatto nel 2001 dal Dottor Mirco Federici appartenente al dipartimento di chimica dell’Università degli Studi di Siena.


Nodo di Roma (Parco Prenestino)
Mirco Federici ha operato un confronto fra la tratta ad alta velocità Milano – Napoli e l’equivalente tragitto dell’autostrada del Sole. Nello studio si contabilizza l’intero consumo di energia e di materia e le emissioni associate lungo l’intero ciclo di vita dei sistemi. Si tiene cioè conto dei consumi nella fase di costruzione delle linee stradali e ferroviarie, della manutenzione periodica, della costruzione e manutenzione dei veicoli e del loro funzionamento annuale. Gli impatti sono inoltre stati calcolati utilizzando 6 analisi differenti, le quali conducono tutte a risultati convergenti.

Le conclusioni del confronto, secondo le parole di Mirco Federici, si manifestano quanto mai sorprendenti, in quanto dimostrano come il TAV abbia impatti ambientali superiori al trasporto merci su gomma e addirittura paragonabili al trasporto individuale in auto, inoltre non migliora l’impatto dovuto alle emissioni ed anzi peggiora la qualità ambientale a causa dell’invasività delle sue infrastrutture.

Viene sottolineato come risulti inutile ed oltretutto dannoso investire su una tipologia di trasporto che non offre miglioramenti ambientali nel caso del trasporto passeggeri e addirittura peggiora la situazione per quanto concerne il trasporto merci. Si aggiunge inoltre che se questi risultati venissero integrati dagli altri impatti ambientali relativi alla cantierizzazione del TAV, che nello studio non sono stati considerati, come ad esempio le falde acquifere deviate, infiltrazioni e contaminazioni dei terreni e delle falde, inquinamento acustico ed altro ancora, il giudizio finale diverrebbe ancora più negativo.

La causa di una così scarsa competitività delle linee ad alta velocità/capacità rispetto agli altri sistemi di trasporto è da ricercarsi nella troppa infrastrutturizzazione del sistema TAV e nella eccessiva potenza dei treni, sovradimensionati rispetto alla loro capacità di trasporto. Un treno TAV, ad esempio un ETR ha una potenza di 8 MW, il che significa che per muovere un solo treno occorre la potenza di una centrale elettrica di medie dimensioni.

Nelle conclusioni si afferma che se la costruzione delle linee ad alta velocità/capacità dovesse essere giudicata solo per mezzo di criteri termodinamici il verdetto sarebbe di una sua completa inutilità.

Una volta costruito il TAV, quale sarebbe la prima causa di inquinamento della valle?

Una volta costruito il TAV la prima causa d'inquinamento della Valle sarebbe proprio la costruzione del TAV. Venti e più anni di cantieri con conseguente dispersione nell'ambiente di polveri sottili e nanopolveri, depositi di smarino contenente fibre d'amianto stoccati dappertutto, torrenti prosciugati, terreni inquinati da fanghi tossici e porcherie di ogni genere quando non addirittura contaminati dall'uranio e potrei continuare, ma mi sono limitato a citare le fonti d'inquinamento che sarebbero determinate dalla costruzione dell'infrastruttura per l'alta velocità, a prescindere da quale sia nello specifico il progetto scelto.

27 Luglio 2008 - Scrivi un commento
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