Nucleare: siamo davvero sicuri?

Dopo l'annuncio del ministro sul ritorno dell'Italia al nucleare, si è riaperto il dibattito. In molti sembrano essere favorevoli e ne decantano i molti benefici. Ma è proprio così?

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di Daniela Mazzoli


Una centrale nucleare
Niente dati, stavolta: solo qualche ragionevole dubbio. Si riaffaccia ciclicamente l’ipotesi che anche in Italia, come nella maggior parte dei Paesi Europei, si costruiscano centrali nucleari per far fronte al costo sempre più elevato dell’energia e per svincolarsi dalla dipendenza francese.

Due, quindi, gli obiettivi fondamentali di chi promuove l’idea delle centrali: abbassare il costo delle bollette e diventare ‘energeticamente’ autonomi. Sul fronte della sicurezza garantirebbe la modernità delle strutture da un lato, dall’altro si imporrebbe la riflessione su quanto siano prossime ai nostri confini le centrali costruite negli altri Paesi. Fa pensare, però, che gli italiani –così sensibili alle proprie finanze e così pronti a qualsiasi impresa pur di arginare le perdite- non si siano letteralmente ‘fatti due conti’.

Intanto le loro, anzi le nostre, bollette non inizierebbero a calare che da una data molto futura, collocabile probabilmente intorno al 2023. Cinque anni occorrono per la costruzione di una centrale (ma in Finlandia ce ne stanno impiegando già 8) e la data d’inizio in Italia sarebbe prevista entro il 2012.

Appunto perché siamo in Italia, dove per fare un chilometro di corsia sul Grande Raccordo Anulare ci abbiamo messo sei anni, è d’obbligo una dovuta proporzione… Insomma, in una decina d’anni a partire dal posizionamento della ‘prima pietra’ sarebbero pronte queste centrali di ultima generazione. Ultima? Non proprio. Anche in questo l’Italia arriva tardi e impreparata, sempre alla rincorsa del già superato, di qualcosa che risulta nuovo solo per la sua ‘vecchia’ mentalità dirigenziale.

Era riportata sui quotidiani di qualche giorno fa –ma scritta piccola piccola- la notizia che in Giappone si sta dando l’avvio ai primi esperimenti di fusione a freddo, grazie anche a un gruppo di valenti ricercatori italiani coi cervelli in fuga all’Estero. La fusione a freddo, innovazione che ridurrebbe il danno provocato oggi dalle scorie radioattive, darebbe l’avvio a centrali di nuova generazione, queste sì.

Tra vent’anni, durante la cerimonia d’inaugurazione con gli industriali, il ministro e la banda insomma, la nostra bella centrale sarebbe già un pezzo da museo. Come accade col petrolio, poi, anche per l’uranio si creerebbe nel giro di un centinaio d’anni il problema dell’esaurimento di risorse. L’uranio che alimenta le attuali centrali nucleari, infatti, non dura eterno come l’inferno. E la diminuzione in quantità provocherà un aumento dei costi, proprio come riscontriamo ogni mattina in cui decidiamo di fare benzina: stessa banconota, minor quantità di carburante.

Ultima, ma non meno importante riflessione, la tecnologia necessaria alla costruzione delle centrali dovremmo comprarla dalla Francia, ed è sempre francese la società che in quota 20% partecipa all’azienda italiana Edison interessata a cimentarsi nell’impresa. Di quale indipendenza stiamo dunque parlando? E soprattutto di quale risparmio, considerato anche il costo mastodontico di una simile opera?

Non ci sono questioni ideologiche intorno al problema del nucleare, o almeno non dovrebbero esserci. Si tratta di concepire una ‘politica’ ragionevole, con una visione ampia del futuro e una concezione comune del bene. Si tratterebbe, come al solito, di seminare bene, di non voler intascare subito i soldi e i risultati, di non lasciare al futuro ingombranti e nocive eredità.

L’Italia è un paese ricco di risorse: circondata da 3000 chilometri di coste, illuminata dal sole almeno nove mesi l’anno. Ci sono risorse ‘pulite’ di energia e non soggette ad esaurimento che ci renderebbero davvero autonomi. Solare, eolico, geotermico, idroelettrico: la nostra ricchezza è tutta qui, e coincide –a volerla usare- con la salvaguardia nostra e del pianeta.

27 Maggio 2008 - Scrivi un commento
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