Dal 1948 al 1951 il Governo di Tel Aviv ha raso al suolo 420 villaggi palestinesi cancellando ogni traccia della loro identità in quello che si sarebbe poi trasformato in territorio israeliano. Nei Territori occupati la memoria storica dell’eredità architettonica palestinese, sebbene sia sfuggita alla totale distruzione, richiede non di meno uno sforzo sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista storico.
Molte abitazioni nelle città di Haifa, Shafa Amer, Ramleh, Jaffa, Nazareth, Acre, Tiberias, Arrabat Al-Battouf, Sekhneen dopo il 1948 sono state abbandonate. In alcuni casi non sono mai state recuperate; in altri casi sono state recuperate male (abbattute definitivamente per essere rimpiazzate con strutture moderne); altre volte sono state destinate ad un uso improprio.
La stessa sorte è spettata ai Territori occupati nel 1967 anche se in questo caso il danno all’eredità architettonica è derivato da una crescita urbana disordinata occorsa tra il 1995 ed il 2000: per fare spazio alle nuove costruzioni si è distrutto, in alcuni casi irreversibilmente, il patrimonio culturale e naturale.
L’Unione Europea, nel contesto del progetto regionale “Common Heritage” destinato proprio alla politica di scambio culturale euro-palestinese, sostiene gli sforzi di RIWAQ con 165.000 Euro spalmati su un periodo triennale.
Dal 2001, anno a partire dal quale RIWAQ gode del sostegno dell’Agenzia svedese per la cooperazione internazionale allo sviluppo, al 2008 sono già stati restaurati 85 edifici e 56 centri storici, dei quali 31 nei villaggi e 25 in città importanti come Bir Zeit, per un valore di 4,5 milioni di Dollari. Il valore aggiunto del recupero non sta solamente nella riqualificazione puramente estetica dei locali, ma nel fare in modo che i palazzi tornino ad essere frequentati dalla comunità. Una volta restaurati, infatti, diventano centri culturali e di aggregazione, alternativi alle moschee, destinati a donne e bambini, oppure sedi di Ong che li gestiscono per 15 anni in comodato d’uso.
Per poter avviare il progetto, il RIWAQ ha condotto una sorta di censimento preliminare di tutto il patrimonio storico e architettonico palestinese tra la Cisgiordania e Gaza, inclusa Gerusalemme, redigendo un registro anagrafico delle costruzioni. La ricognizione ha anche appurato come il 71,5% dei beni si trovi in aree rurali e soltanto il 28,5% nelle quattro città maggiori (3.723 a Gerusalemme; 3.397 a Nablus; 1.914 a Hebron; 837 a Betlemme).
Stilare il registro nazionale, spiega però la Amiry, non è stato semplice e non soltanto per via dell’occupazione o per il fatto che l’Autorità Palestinese controlla soltanto il 12% della Cisgiordania, peraltro in prossimità del Mar Morto. I problemi sono più che altro di natura legale poiché esistono due diverse leggi che regolano la protezione del patrimonio storico e architettonico: la Law of Antiquities del 1966 per la Cisgiordania e la Law of Antiquities del 1929 per la Striscia di Gaza ed entrambe tutelano soltanto i siti archeologici risalenti fino al 1700. Queste leggi non prevedono alcun tipo di tutela per quello che tuttora rimane del patrimonio culturale. Da qui, secondo l’intero staff di RIWAQ, la necessità di una legge più includente seguita da una politica nazionale per i beni architettonici e da un ente unificato per la loro tutela.
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