E se volessi lavorare nel microcredito… - Intervista a Dario Lo Scalzo (II parte)

Prosegue l’intervista a Dario Lo Scalzo, che oggi ci racconta del suo percorso personale di approccio al microcredito e delle motivazioni che lo spingono a “vivere donandosi” agli altri, non tralasciando però di testimoniare anche il lato spinoso di questo lavoro… non adatto a tutti!

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di Claudia Pecoraro

bambini sorriso salvador
Ciò che mi dava più gratificazione e gioia era il sorriso di un bimbo
Prima di intraprendere il percorso del microcredito, lavoravi in una banca tradizionale. Cosa ti ha spinto a cambiare vita, rinunciando a tutti gli agi a cui eri abituato?

Da giovanissimo, subito dopo la laurea, ho lavorato per BNP Paribas in giro per il mondo, facendo base a Parigi. Già allora dedicavo il mio tempo libero al volontariato, mentre durante le vacanze lunghe partecipavo a progetti umanitari in Senegal, Mozambico e in altri paesi. Sembrerà inusuale, ma da queste esperienze ho constatato che ciò che mi dava più gratificazione e gioia era il sorriso di un bimbo più che la busta paga a fine mese.

Quindi mi sono chiesto “cosa posso fare di concretamente utile per gli altri e sentirmi allo stesso tempo gratificato, mettendo a frutto le competenze acquisite con anni di lavoro?”. La risposta era il microcredito.

Molto spesso parli di sorriso e dell’importanza di sorridere… quanto conta nella tua voglia costante di “donare” agli altri?

Il sorriso è la linea direttrice del mio vivere. Due elementi fondamentali della mia vita, direi, mi hanno cambiato. Da un lato, a livello personale, ho incontrato la sofferenza e, oltre la mia gioia interiore, ciò che mi ha tenuto in vita è stato proprio incrociare dei sorrisi. Dall’altro lato, il mio lavoro da bancario mi ha dato l’opportunità di girare il mondo e capire come “gira” davvero nelle realtà più diverse. Da lì ho maturato la mia teoria di “regalare sempre un sorriso agli altri”. Il sorriso è gratuito ed ha sempre un impatto positivo, ovunque ci si trovi, anche nelle situazioni più disperate. Naturalmente non volevo che questo rimanesse solo uno slogan, e volevo riempirlo di contenuto. Ecco che ciò si è tradotto nel donare agli altri con concretezza.

E da allora, come è cominciato il tuo percorso?

Pur essendomi avvicinato da tempo al microcredito, è stato nel 2007 che ho mollato tutto, mi sono licenziato quando avevo raggiunto una posizione professionale abbastanza importante in banca e sono stato assunto come direttore generale del Brasile per Microcred.

Microcred è…?

È un’istituzione finanziaria francese di microcredito, attualmente presente in Messico, Senegal, Madagascar, Cina, che a breve aprirà agenzie in Nigeria, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo e Algeria.

Qual è stata la reazione dei tuoi capi in banca alla tua decisione?

Sono rimasti stupiti, increduli dapprima… ma poi hanno capito le mie motivazioni ed hanno dimostrato apertura e fierezza per la mia scelta di vita.

Quindi sei subito partito per il Brasile?

No, prima dell’esperienza brasiliana, ho affiancato chi già lavorava da anni in Messico. In Brasile il progetto di microcredito era ai suoi inizi, si doveva costruire tutto da zero, dalla posa della prima pietra ai contatti con le autorità, alle assunzioni ed alla formazione degli impiegati locali. Il progetto purtroppo non è mai andato a buon fine, perché presto ci siamo resi conto che mancavano le condizioni necessarie, soprattutto di sicurezza, per intraprenderlo.

bimbe messicane
In Messico sono diventato Vicedirettore e sono rimasto un anno e mezzo
E quindi sei rimasto in Messico…

Esatto, dove sono diventato Vicedirettore e dove sono rimasto per un anno e mezzo.

È difficile per noi, abituati alle tranquille banche cittadine, immaginare come si svolga il vostro lavoro nella quotidianità…

Già… a cominciare dal Direttore Generale, lontanissimo dall’immagine tipica che tutti hanno di quello in giacca e cravatta, seduto dietro ad una scrivania. Si lavora in mezzo alle strade, nei polverosi quartieri depressi, a contatto con il territorio e con la gente. Vedi continuamente scenari che ti colpiscono, ti turbano, e ti incitano a voler cambiare le cose. Spesso mi capitava di spostarmi nelle zone rurali, a volte a otto ore di distanza l’una dall’altra, per seguire i nostri clienti e far conoscere le opportunità ad altri. “Non è il cliente che deve andare alla banca, ma la banca dal cliente” come dice Yunus.

Quando ti occupi di un cliente, fai il consulente, lo psicologo, l’amico, il confidente, la tua responsabilità è moltiplicata… E poi il lavoro non finisce lì, si affianca a quello più usuale di raccogliere dati, mantenere i contatti con le autorità, scrivere articoli e inviare continui resoconti, gestire un’impresa… Insomma, si lavora giorno e notte.

Per dirla con un’immagine efficace, dato che ero abituato a lavorare con gli standards e gli agi di una banca tradizionale, dalla Rolls Royce sono passato al trattore!

Non dipingi una vita facile… Consiglieresti a chiunque abbia una buona preparazione nel campo dell’Economia e sia mosso da spirito umanitario di lavorare nel microcredito?

Innanzitutto non è necessario avere competenze economiche e finanziarie, che naturalmente lo sono per lavorare al comando di un progetto. Chi non le possiede, può cominciare a operare a contatto con i poveri, a parlare con i clienti, che è una delle cose più interessanti.

Poi ritengo doveroso sottolineare che non è un’esperienza adatta a tutti. Lo spirito umanitario molte volte non è sufficiente per vivere in condizioni veramente difficili. È una vita scomoda, lontana dagli agi a cui siamo tutti abituati, sei lontano dagli affetti, la lingua non è la tua, le condizioni socio-ambientali sono diverse e sorprendenti anche quando crediamo di conoscerle. E poi, sul lavoro, ci sono momenti sgradevoli, difficili da digerire soprattutto all’inizio, come quando ti trovi a chiedere soldi a chi non li vuole restituire. Non ci sono linee guida predefinite, non c’è un manuale che ti prepara perché tutto è legato alle relazioni umane e dunque alla variabilità insita negli uomini. La responsabilità è immane.

momenti comunita wayuu colombia
Racconto le condizioni in cui si vive e le difficoltà del lavoro. L’unica cosa che mi sento di consigliare è un approccio graduale. Meglio cominciare a toccare con mano certe realtà “vicino casa”
Insomma, bisogna essere più che motivati! Sembri quasi scoraggiare chiunque volesse approcciare a questo mondo. Potresti comunque dare un consiglio a chi fosse interessato?

Di solito non do consigli, preferisco mettere davanti alla realtà le persone che me lo chiedono, per “smontare” il loro lato idealista. Racconto le condizioni in cui si vive e le difficoltà del lavoro. L’unica cosa che mi sento di consigliare è un approccio graduale. Meglio cominciare a toccare con mano certe realtà “vicino casa”, facendo volontariato nelle mense dei poveri, negli ospedali, negli orfanotrofi… In questo modo si testa la propria sopportazione di fronte alla povertà e alla sofferenza, si impara a controllare le emozioni di fronte a persone a cui devi dare conforto senza mostrare turbamento.

Ti è mai capitato di avere momenti di ripensamento?

Non passa giorno in cui non ti fai delle domande. Ho avuto momenti di forte incertezza quando sono stato tradito dalle mie stesse risorse, dalle persone che abbiamo formato, accolto, fatto crescere, con cui avevamo instaurato un rapporto di totale fiducia. In quei frangenti per un attimo crollano i tuoi ideali; ti sei voluto allontanare dal mondo occidentale anche per sfuggire a certe logiche di scorrettezze e falsità e poi ti accorgi che un po’ ovunque è la stessa cosa… Tanto vale, allora, agire a casa propria – ti ripeti. Poi accade qualcosa di positivo, come il “famoso” sorriso di un bambino, che ti fa incassare e andare avanti con ancora più amore ed energia.

Oggi come stai operando in Italia?

Collaboro con la BNL come consulente esterno, cosa che mi lascia ampio spazio per fare altro. In questo momento, mi piace poter dirigere parte di quello che guadagno verso gli altri, sostenendo progetti umanitari in Italia, in Africa e Sudamerica. Oggi il regalare un sorriso è anche condivisione, è il mio interesse primario, il mio filo conduttore.

Ci puoi fare qualche esempio?

Sto aiutando una Fondazione che accudisce i bambini vittime di violenze in Colombia, e mi occupo dei Wayuu, una comunità indigena colombiana, per la quale commercializzo i prodotti di artigianato con l’obiettivo di creare pian piano un ciclo produttivo stabile, indipendente da me. Infine seguo anche diverse micro-azioni qui in Italia.

bambini indigeni colombia
Ho avuto la fortuna di girare il mondo, conoscere e operare in molte realtà di cui poco si parla. Il mio intento è quello di testimoniare e sensibilizzare
Dario, la domanda è doverosa… non sono comuni le persone che come te riescono a vivere in modo tanto altruista, nella società di oggi sembri quasi un alieno e qualcuno potrebbe sarcasticamente “accusarti” di voler apparire come un supereroe…

Ho avuto la fortuna di girare il mondo, conoscere e operare in molte realtà di cui poco si parla. Il mio intento è quello di testimoniare e sensibilizzare, per lo meno portare ad una riflessione, che poi spero qualcuno traduca nell’agire concreto. Per questo anche raccontare e scrivere è molto importante per me.

Ci tengo ad affermare che non voglio convincere nessuno a “salire sulla mia barca” né a fare i bagagli per fare del bene nel Terzo Mondo. Bisogna agire cominciando a guardarsi intorno, a partire dal vicino di casa. Sono sicuro che il mio agire sia semplicemente una goccia nell’oceano, ma da molte esperienze a lieto fine credo sempre più che una goccia possa avere un impatto enorme nel luogo in cui si riversa.

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31 Maggio 2010 - Scrivi un commento
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