Greenpeace

Allarme Greenpeace: "La Marea Nera arriva sulle coste"

Continua l'allarme marea nera nonostante sia passato quasi un mese dal disastro avvenuto nel Golfo del Messico. La BP, in tempi non sospetti, aveva affermato che era improbabile che si verificasse una catastrofe, così come era improbabile che la costa venisse devastata dal petrolio in caso di disastro. Le immagini di questi giorni raccontano esattamente il contrario.

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Greenpeace ha trovato quantità consistenti di petrolio nell’area di Sauth Pass, in Luisiana, vicino alla foce del fiume Mississippi
A quasi un mese dall’esplosione della Deepwater Horizon, il pozzo non è ancora stato chiuso e il petrolio inizia ad arrivare sulle coste. Ieri mattina Greenpeace ha trovato quantità consistenti di petrolio nell’area di Sauth Pass, in Luisiana, vicino alla foce del fiume Mississippi. Prima di essere allontanato dalla Guardia costiera, il team inviato dall’organizzazione ambientalista sul posto è riuscito a documentare con le foto la spiaggia devastata e ricoperta da uno strato di catrame denso e viscoso.

Recenti stime confermano le ipotesi di Greenpeace che la reale fuoruscita di petrolio sia di ben dieci volte più grande di quanto dichiarato da BP: ecco perché si cerca di nascondere agli occhi dell’opinione pubblica l’entità di questo disastro. "Prima avvelenano il mare con i disperdenti chimici per far sparire il petrolio - denuncia Giorgia Monti, responsabile campagna Mare di Greenepace - e adesso allontanano chi cerca di monitorare e documentare l’espandersi del disastro".

Sembra che la BP abbia veramente fatto male i suoi conti. In documenti ufficiali compilati prima di ricevere l’autorizzazione per queste esplorazioni petrolifere la compagnia affermava, infatti, che era improbabile si verificasse una catastrofe, e che in caso di disastro le 50 miglia di distanza dalla costa avrebbero reso altrettanto improbabile un interessamento della costa.

"Come volevasi dimostrare il petrolio è arrivato a terra e a nulla sono valsi i tentativi per arginarlo. È ormai sotto gli occhi di tutti che non esistono misure preventive o sufficienti tecnologie di pronto intervento: il rischio delle perforazioni petrolifere offshore è troppo alto per l’ambiente e per le popolazioni".

Eppure è di pochi giorni fa la notizia che i piani della Shell per iniziare perforazioni petrolifere in Alaska stanno andando avanti, mentre anche nel nostro Mediterraneo le richieste di autorizzazioni aumentano, soprattutto in Adriatico e nel Canale di Sicilia. "È ora che i governi - conclude Monti - abbandonino il cammino delle energie fossili e investano con decisione in energie rinnovabili".

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19 Maggio 2010 - Scrivi un commento
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