Gli agnelli e il dolore del mondo

Due donne a confronto – Susanna Tamaro e Mercedes Bresso – e due visioni della vita completamente diverse. Filippo Schillaci ci racconta due differenti modi di celebrare la Pasqua, da un alto una festa simbolo di vita, quale dovrebbe essere, dall'altro invece, solo morte e grida di dolore.

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di Fillippo Schillaci

giovanni segantini dipinto le due madri
Giovanni Segantini (1858-1899), Le due madri
Di solito si recensisce un libro, un film, un’opera di un certo spessore alla quale si attribuisce una vita non effimera. Recensire un semplice articolo si crede che proprio no, non ne valga la pena, a maggior ragione se è un articolo di quotidiano, fatto per essere letto in fretta sull’autobus per poi divenire il giorno dopo carta straccia. Immaginiamo poi se lo si recensisce un mese dopo la sua uscita, quando ormai è passato di “attualità” e tutti pensano ad altro.

Eppure ci sono cose che meritano d’esser fatte nonostante il senso comune dica il contrario. Ad esempio quando un articolo assume lo spessore di una meditazione sul valore (negato) della vita e sull’etica (storpiata) della storia che da millenni è attuale e chissà per quanto lo sarà ancora.

L’articolo è Il pianto degli agnelli e il dolore del mondo di Susanna Tamaro, pubblicato sul Corriere della Sera il 28 marzo 2010. Ma non è da lei che vorrei cominciare, bensì da un’altra donna: Mercedes Bresso la quale, in quegli stessi giorni, ci diede anche lei una lezione sugli stessi temi, ma di segno opposto.

Ero già inciampato in Mercedes Bresso alcuni anni fa quando si era resa responsabile del massacro di alcune centinaia di caprioli “in soprannumero”. Me la ritrovo davanti oggi, alle prese con la popolazione della Val di Susa minacciata dall’irruzione della ferrovia ad alta velocità e ritrovo nelle sue parole, nel suo atteggiamento di sprezzante sufficienza, nelle pose mussoliniane di coloro che la affiancano la stessa macabra arroganza di allora.

Davvero sa ciò che dice chi afferma che il disprezzo per la vita umana e quello per ogni altra forma di vita viaggiano su due binari paralleli. Ecco, è questo il tema dell’articolo di Susanna Tamaro.

animali uccisi morte orrore
Che dire di una cultura che ha perso la capacità di percepire l’orrore, il macabro nell’immagine che essa evoca?
Si avvicinava la Pasqua che chiamano “santa” in quei giorni che videro le due, ben diverse, “uscite” di Susanna Tamaro e di Mercedes Bresso e che coincidono con l’inizio della primavera. Sono i giorni in cui alla stucchevole ridondanza di merci festaiole che trasbordano dagli scaffali dei supermercati cittadini si affianca, nelle campagne, una ben diversa festa: quella della vita che ricomincia. Da qui inizia la riflessione della Tamaro: dalle gemme che si schiudono sugli alberi, dalle lucertole che si svegliano, dal colorarsi del sottobosco, dal primo correre sui prati degli agnelli nati “con la luna piena di febbraio”. Da quel loro rincorrersi e giocare che chi non l’ha mai visto “non avrà mai un’immagine chiara della gioia che può pervadere la vita”.

Si avvicinava dunque la Pasqua “santa” e ai prati si avvicinavano gli autocarri “che caricano i piccoli delle pecore e delle capre”. Centinaia di migliaia di agnelli, come ogni anno, vengono così strappati alla loro vita per essere divorati in una “santa” orgia necrofila sulle tavole imbandite mentre in quei prati sui quali nessuno più gioca o accorre al richiamo delle madri per la poppata, quelle stesse madri “per tre giorni corrono incredule da un lato all’altro chiamando a gran voce. (…) Poi, dopo tanta agitazione, sulle campagne scende il silenzio”.

E di coloro che sono stati fino a un attimo prima l’immagine perfetta della vitalità e della gioia rimangono cadaveri scuoiati e tagliati a pezzi e, “schiacciati da una pellicola di cellophane, quegli occhi opachi e quei dentini che già strappavano la prima erba”.

Fermiamoci un momento su questa frase: che dire di una cultura che ha perso la capacità di percepire l’orrore, il macabro nell’immagine che essa evoca? E che assiste indifferente al massacro come a cosa normale? “L’altro giorno”, continua la Tamaro, “mi ha chiamato un’amica che lavora vicino al mattatoio. Mi sono messa i tappi, ma non serve a niente. Vengono scaricati ogni giorno, a centinaia, e urlano con voci da bambini, disperate, rauche, in preda al terrore, ma, a parte me, nessuno sembra farci caso” (…) E’ Pasqua e questo è il rumore della Pasqua”.

Nessuno sembra farci caso. E in effetti, nessuno ci fa caso, come non fa caso all’orrore quotidiano che il televisore (ultrapiatto e ad alta definizione, ovviamente) gli vomita addosso ogni giorno. La morte è da lungo tempo entrata a far parte dello spettacolo quotidiano. La si osserva, la si degusta da dietro un vetro, al “sicuro” ma sempre più da vicino, con sempre maggiore ricchezza di dettagli. Si chiama guerra, si chiama abbacchio, si chiama carestia, si chiama sperimentazione sul vivente, si chiama missione di pace, si chiama caccia, energia nucleare, marea nera, sviluppo, bistecca, si chiama con mille nomi che significano una cosa sola. Una sola.

“La contemplazione della morte”, scrive ancora la Tamaro, “non può non provocare un profondo senso di timore”. Ma non qui, non adesso, non in un mondo che della morte (altrui) ha fatto motivo di diletto, spettacolare o culinario o d’altro genere. E per far ciò ha dovuto e voluto farne anche oggetto di assuefazione e indifferenza (“La catena di morte del macello non è che una catena fra le altre”). Produrre “tagli di carne”, produrre automobili, produrre mine, produrre televisori. Tutto va bene, tutto è normale. Passare accanto alle urla di agonia di chi muore nei macelli, di chi muore sulle mine, e non udirle più di quanto non si oda il rumore del traffico nelle sempre più numerose e fragorose ore di punta..

agnelli grida morte
“Le urla degli agnelli sono un rumore di fondo, uno dei mille rumori che frastornano i nostri giorni"
“Le urla degli agnelli sono un rumore di fondo, uno dei mille rumori che frastornano i nostri giorni. E forse non sapere ascoltare questo lamento è il non saper ascoltare tutti i lamenti - i lamenti delle vittime delle guerre, dei malati, dei bambini torturati, uccisi, delle persone seviziate, abbandonate, dei perseguitati, di tutte quelle voci che invano gridano verso il cielo. È anche il non saper ascoltare il nostro lamento, di persone sazie, annoiate, risentite, incapaci di vedere altro orizzonte oltre quello del nostro minuscolo ego, incapaci di interrogarci, di affrontare le grandi domande e di accettare il timore che, da esse, inevitabilmente deriva”.

Ho visto alcuni anni fa un ragazzo trovare comica quella disperata sequenza d'un film in cui un soldato cerca fra i cadaveri il braccio che una granata gli ha strappato. Penso con paura alla sua giovane età, a tutto il tempo che avrà per trasmettere se stesso al mondo intorno a sé. Immagino che in questa Pasqua anche sulla sua tavola ci sia stato uno di quegli agnelli scuoiati e rinchiusi nel cellophane.

Ricordo anche un giorno ancor più lontano in cui ero in Umbria, in visita a una fattoria bioregionalista dove l'allevamento delle pecore è una delle principali attività. Erano i giorni prima di Pasqua. Da una baracca di legno senza finestre a un centinaio di metri dall'edificio principale provenivano degli insistenti belati che facilmente si riconoscevano come quelli di un agnello. Lì vicino il gregge pascolava. Ogni tanto da esso si staccava una pecora adulta - chi altri se non la madre? - correva, anche lei belando, verso la baracca, si fermava davanti a essa e rimaneva lì ferma per un po', guardandola fissamente senza sapere che fare.

Poi, lentamente e in silenzio, tornava indietro. Questa scena si ripetè molte volte, poi smisi di guardare. Ciò che mi colpì di più fu che ogni volta che la madre si staccava dal gregge per avvicinarsi alla baracca in cui era rinchiuso suo figlio lo faceva correndo; ogni volta che tornava indietro lo faceva molto lentamente. Molto lentamente.

E' questo il mondo che vogliamo?

4 Maggio 2010 - Scrivi un commento
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6 lettori hanno commentato questo articolo:
27/5/10 04:53, ANNA MARIA TRISORIO ha scritto:
Ho pianto dopo aver letto il vostro straziante articolo (ma non sono esaurita...) Come faremo a riscattare queste colpe? Comunque non c'è risarcimento per queste vite spezzate(di uomini e di animali). Come continuare a vivere serenamente? Credo che sinchè uccideremo in questo modo Dio non ascolterà una sola parola delle nostre preghiere. E anch'io mi sento colpevole perchè, pur rifiutando di mangiare carne di maiale, vitello, agnello, coniglio ecc., mangio il pollo, illudendomi di essere meno colpevole di chi mangia di tutto.
Come non pensare che tutto questo dolore potrebbe ricadere su di noi?
Smettiamola di giustificarci dicendo che la carne è un alimento necessario per la nostra salute; sappiamo che ci sono integratori che sopperiscono alla mancanza di vitamine o proteine presenti nella carne.
25/5/10 13:45, Gregorio De Cortinovis ha scritto:
Non capisco però una cosa: Susanna Tamaro ha dichiarato recentemente che non è più vegetariana, ma mangia carne "di cui conosce la provenienza". Lo ha fatto nella rivista di Legambiente, che per questo le ha dato come voto "ottimo", riferito alle sue abitudini(!).

Insomma, gli agnelli no, ma tutto il resto sì.

Non mi pare granché.
9/5/10 00:42, iosandra nonnis ha scritto:
Mentre leggevo l'articolo di Susanna Tamaro ho rivissuto, con commozione,l'immagine di un gregge che pascolava su un prato di Villasimius,in prossimità delle feste natalizie.Mentre ammiravo l'immagine idilliaca:sullo sfondo il mare, il faro, con gli agnellini che facevano le capriole,le madri belanti, mi sono detta:voglio riempirmi gli occhi e il cuore di questo spettacolo.Non ho comprato l'agnellino a Natale.Questa mia nuova sensibilità, sono sicura,verrà ridicolizzata ma basta andare avanti nelle proprie convinzioni.
6/5/10 21:38, Susanna ha scritto:
...In ogni epoca, la "nostra" società (di gente civile, evoluta, inrìtelligente, sapiente, religiosa, ecc.) ha commesso barbarie inammisibili...
Ogni volta fingendo fossero neccessarie
Ogni volta cambiando il nome da dare al massacro.
Dalle Guerre Sante, agli uomini (e molte donne) bruciati vivi perchè eretici, ai bambini violati... e persino con il cibo si inventa che "è tradizione" così che la storia si perpetua uguale, anno dopo anno, secolo dopo secolo.
Sembra che il passato, gli errori e gli orrori commessi non riescano ad insegnarci nulla.
Sembra.
Ma non è vero. C'è Filippo Schillaci, per esempio, e molti altri che pensano e agiscono come lui...ed è a loro che "guardo" per poter andare avanti, per poter sorridere, nonostante tutto.
Susanna


5/5/10 08:08, Mimmo ha scritto:
Quando in Natura i predatori uccidono la cosa non è mai indolore. Noi ipertrofizzati da energia a basso prezzo (petrolio) abbiamo industrializzato la predazione e la morte. Probabilmente presto, per motivi energetici più che morali, diminuiremo questi massacri.
4/5/10 08:55, vanity fair ha scritto:
su vanity fair hanno pubblicato una foto, vincitrice di un concorso, che ritrae 3 agnelli di spalle mentre guardano i loro fratellini appesi a testa in giù sul nastro trasportatore, con la pelle strappata, agonizzanti. il pavimento: una pozza di sangue. Ho la foto, ma qui nn posso allegarla. E' molto molto eloquente. Ma alcuni, molti, continuano a non voler vedere, a non voler sentire. Già, ..altrimenti poi come si fa a mangiare l'abbacchio?? A quello non si può rinunciare. La gola che ha la meglio sulla ragione: ecco la nostra società .."civile"!!!
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