L'Urlo

Se le "morti bianche" non sono incidenti

È possibile morire a nemmeno trent’anni semplicemente perché ci si è recati al lavoro come ogni giorno? È possibile salutare i genitori o la ragazza la mattina e, subito dopo il caffè coi colleghi, non fare più ritorno? È concepibile in un mondo ossessionato dalle misure di sicurezza, che obbliga a mettere il casco anche in bicicletta, rimanere vittima di un maledetto carico sospeso che sembrava aspettare proprio te? Sì, lo è. E lo è ogni giorno. Anche in un Paese “ricco” e “sviluppato” come il nostro.

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di Andrea Bertaglio

morti bianche caduti lavoro
In Italia, considerando solo i dati ufficiali, la media dei caduti sul lavoro tra il 2003 e il 2005 è stata di 1328 morti ogni anno, più di 3.5 al giorno
In Italia, considerando solo i dati ufficiali, la media dei caduti sul lavoro tra il 2003 e il 2005 è stata di 1328 morti ogni anno, più di 3.5 al giorno. Nel 2006, 1280 “morti bianche”, nel 2007 ben oltre i mille, e così via, fino ad oggi. Sono cifre da guerra, come afferma il sito "Caduti sul Lavoro" “una guerra combattuta giorno per giorno da gente costretta a lavorare per pochi soldi, senza difese, senza tutele”.

Denuncia legittima, che però rischia di offuscare la potenza delle circostanze, l’incredibile sincronismo delle coincidenze, il perverso calcolo al minuto della cattiva sorte, e di perdere di credibilità quando vi si legge la presenza di uno dei maggiori partiti politici o le testimonianze di sindacati che, insieme ai partiti, non sembrano avere fatto in modo di cambiare la situazione.

Purtroppo ci sono davvero situazioni in cui, per risparmiare sui costi, si taglia anche sulla sicurezza. Ma è anche la fatalità ad essere sempre in agguato, sempre pronta a ricordarci quanto sia fragile la nostra realtà, quanto non dovremmo dare nulla per scontato, o quanto non dovremmo prendercela per delle sciocchezze.

La rabbia sale se si pensa come quelle persone che, secondo noi, non meriterebbero di stare al mondo un minuto di più (assassini, stupratori, criminali di vario tipo operanti più o meno nella “legalità”) facciano - magari a spese nostre - la “bella vita”, mentre un ragazzo che sta mettendo su famiglia, o un padre che già ce l’ha, debba fare una tale fine. Così, da un giorno all’altro.

E quando la rabbia sale ci si pone delle domande sulla vita, su Dio, sulla politica, sulle regole, sull’enorme non-senso che all’improvviso diventa il gigantesco carosello su cui giriamo, giorno dopo giorno, alla continua ricerca di un minimo di equilibrio, o di un modo per tirare avanti dignitosamente. Domande, senza ovviamente la speranza di una risposta. Dio c’è? In ogni caso non risponde. E le Istituzioni? Più sorde del Creatore. Cosa fare allora, a parte rassegnarsi, o abbandonarsi alla follia?

Fanno sorgere molti dubbi queste non-risposte. Dubbi sull’esistenza di un Dio che permette tali tragedie. Dubbi sulla politica e la sua utilità. Dubbi sul mondo del lavoro e le sue norme. Dubbi su di un sistema troppo frettoloso e distratto, per badare a tutto ciò. Perché forse, come riportato sul sito dedicato ai caduti sul lavoro, “la frenesia della società, il menefreghismo dei media e l’indifferenza delle nostre coscienze hanno spesso dimenticato gli operai che ogni giorno trovano la morte nelle fabbriche e nei cantieri. Tuttavia i decessi avvenuti sul luogo di lavoro sono ancora un grave problema che non può essere lasciato da parte. Per questo, anche per questo, esiste un sito web dedicato alla “commemorazione perpetua” dei caduti sul lavoro”.

morti lavoro
“I morti sui luoghi di lavoro non sono incidenti. Dipendono dall’avidità di chi rifiuta di rispettare le norme sulla sicurezza”
“I morti sui luoghi di lavoro non sono incidenti. Dipendono dall’avidità di chi rifiuta di rispettare le norme sulla sicurezza”, affermano con un vero e proprio atto d’accusa degli autori del sito, Raffaele Russo e Nicola Savoia. Un urlo contro “l’incapacità di chi dovrebbe approvare leggi più stringenti e farle rispettare”.

Non è un attacco al governo, né una caccia ai responsabili, ma l’accorato tentativo di mettere in evidenza le pecche, o addirittura la degenerazione, per citare ancora i due autori del sito, “di un sistema che ha elevato il denaro a valore assoluto”, dimenticandosi, a volte, delle persone. Un appello che chiede a gran voce l’intervento di tutti. “Per fermare questa strage è necessaria una sollevazione morale generale, che possa costringere chi può a cambiare rotta”.

Appelli e dubbi sacrosanti, quando si subisce una tale tragedia, ma che non dovrebbe far mai perdere del tutto la fiducia nelle Istituzioni, la fede in Dio per chi ce l’ha, o la certezza che un imprenditore a cui muore un operaio in fabbrica o in cantiere, per quanto orientato ad aumentare i suoi profitti, non è certamente contento di essere o anche solo di sentirsi responsabile di tali eventi. Anzi, può divenire il più colpito da un trauma di questa portata, con i relativi sensi di colpa. E non solo per i rischi a livello legale o penale.

Trovare il colpevole, il capro espiatorio, demonizzare qualcuno o qualcosa per ciò che succede è automatico, è la reazione più umana che si possa avere. Ma non porta a nulla, né tanto meno può riportare indietro chi si è perso, chi se n’è andato. Chi all’improvviso ci ha lasciati più soli a camminare sul filo di una vita appesa allo stesso, sospesi nel vuoto. Persi nel tempo, nello spazio e nel significato come siamo tutti, nonostante le “cose importanti” a cui dobbiamo quotidianamente pensare.

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16 Marzo 2010 - Scrivi un commento
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