sono un’insegnante con più di vent’anni di esperienza e sono rimasta scandalizzata, oltre che preoccupata, da quanto ho letto nelle recenti leggi sulla Dislessia approvate dalle Regioni Lombardia,Veneto, Liguria e Basilicata.
Queste leggi sono il risultato di una campagna mediatica e della pressione esercitata dalla claque di supporto che, seguendo un copione di successo negli USA, è stata appositamente creata per fare da cassa di risonanza per influenzare politici ed opinione pubblica, sull’esistenza di questi fantomatici disturbi dell’apprendimento, e della necessità di “aiutare” i bambini che sarebbero affetti da tali disturbi.
Queste leggi non sono una reale esigenza dei nostri studenti, delle famiglie e degli insegnanti, al contrario sono estremamente dannose e pericolose. Con esse viene stabilito per legge, ciò che non è provato a livello scientifico e cioè che gli errori di scrittura, di ortografia, di lettura e di calcolo, sono una malattia, come cita una di queste leggi: “la dislessia è anche una malattia che molto spesso non viene riconosciuta o viene diagnosticata con grandissimo ritardo; …” (legge N.422 Regione Veneto).
La non scientificità è provata dal fatto che le diagnosi di queste “ malattie” vengono fatte attraverso test di scrittura, lettura e non con esami oggettivi di laboratorio, radiografie ecc., test alla cui base stanno teorie pseudoscientifiche quali:“… Se si calcola una media e alcune prestazioni sono sotto alla media al di là di una ragionevole variabilità …. si parla di disturbo”. (Che cos’è la dislessia: basi biologiche di Luisa Lopez, neuropsichiatra infantile).
I bambini di quattro, cinque anni ed oltre, delle Regioni su indicate, pur in presenza di un normale quoziente di intelligenza, verranno sottoposti nelle scuole a test, per determinare se ricadono o meno, fuori dai protocolli prestabiliti, così da incanalarli verso un percorso didattico diverso dagli altri, che prevede che non leggano più, ma ascoltino gli audio libri, che non scrivano più, ma utilizzino il computer, ed il correttore automatico, che utilizzino obbligatoriamente la calcolatrice per fare i calcoli, perché secondo “ gli esperti”, di queste malattie non si guarisce.
In Lombardia addirittura è previsto per legge, che i ragazzini individuati DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) vengano diagnosticati e trattati nei centri UONPIA (Unità Operative di Neuropsichiatria Infantile).
Se queste leggi fossero esistite dieci, venti, trenta anni fa, quanti di noi a cinque, sei, sette anni sarebbero stati dichiarati “malati di dislessia, discalculia ecc.”? Quanti di noi sarebbero caduti fuori dai parametri stabiliti dalla neuropsichiatria infantile? Quanti avvocati, medici, giornalisti avrebbero visto la loro carriera sfumare? Perché non si può diventare avvocato o commercialista andando nei centri UONPIA ad imparare a scrivere al computer e poi scaldando i banchi a scuola.
Nella mia esperienza di insegnante gli alunni frustrati, depressi e con difficoltà di relazione sono quelli che sono stati diagnosticati come portatori di questi disturbi, l’offesa e la vergogna più grande che si può dare ad un bambino è dire che lui è incapace di fare cose ed è diverso dagli altri.
Cosa si sta cercando di fare? Si sta istituendo una fabbrica per creare incapaci? Una domanda sorge spontanea. Se a detta degli “esperti” esiste questa “malattia” e di essa non si guarisce, come mai da che esiste la scuola gli studenti passando da una classe all'altra hanno corretto i loro errori nella scrittura, nella lettura e nel fare i calcoli, migliorato la grafia arrivando a carriere e professioni di prestigio?
Sono proprio le generazioni nate nel XXI secolo che sono portatrici di tali disturbi? Mentre le generazioni precedenti ne sono nati immuni? E’ forse un nuovo virus congenito? E’ stato fatto tutto questo clamore e lavoro per avere qualche migliaio di bambini nei centri UONPIA da fare giocare con il computer e la calcolatrice, o la posta in gioco è più alta? La Regione Veneto ha già stanziato un milione di euro per questi interventi. Di fatto si sono aperte le porte della scuola a screening di massa e schedature neuropsichiatriche attraverso le quali qualsiasi bambino è a rischio di una diagnosi di disturbo mentale perché non rientra nei parametri prestabiliti.
C’è il reale pericolo che le scuole diventino bacini per il procacciamento di nuovi clienti, l’istruzione venga ingabbiata da parametri neuropsichiatrici attraverso i quali venga stabilito chi dovrà proseguire gli studi regolarmente e chi no perché riconosciuto incapace, attraverso un test.
Prof.ssa Margherita Pellegrino
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Quell'insegnante non è l'unica persona, anche specialista, preoccupata del dilagare di diagnosi di DSA in bambini con difficoltà scolastiche. Fra l'altro le classificazioni diagnostiche che gli specialisti devono usare (ICD10 e DSM4) prevedono solo la voce 'Disturbo specifico', che automaticamente si trova ad essere usato spesso anche per difficoltà che 'specifiche' non sono, in quanto associate con fattori ambientali sfavorevoli all'apprendimento. Come è noto non esiste una diagnosi "specifica", un aspetto 'patognomonico', un esame definitivo: la diagnosi è per esclusione di altre cause conosciute, quali lesioni cerebrali, sindromi disgenetiche, ritardo mentale, scarsa o cattiva scolarizzazione, ambiente disagiato da un punto di vista psicosociale, difficoltà di attenzione e di comportamento, ecc. Quando non c'è una di queste 'cause' invece che usare la parola 'idiopatica', aggettivo con cui in medicina si indica che non si conosce la causa, viene usato l'aggettivo 'specifico', e viene detto che ci deve essere una causa specifica, genetica, a livello cerebrale, anche se ancora anni di ricerche e migliaia di pubblicazioni non l'hanno scovata. Le 'prove' dell'esistenza sono sostituite dall'"accordo fra le persone che se ne intendono", cioè gli esperti. Come prova scientifica è un po' scarsa.
Anche nell'ASL dove lavoro la voce DSA è di gran lunga la più gettonata fra le diagnosi del Servizio per la salute mentale dell'Infanzia e Adolescenza, e l'effettuazione da alcuni anni nelle prime e seconde elementari di screening per i disturbi di apprendimento (fra l'altro su iniziativa a suo tempo di un direttore sanitario di ospedale pediatrico) ha prodotto un aumento degli invii al servizio da parte delle scuole.
Occorre dire che è estremamente raro che non si riscontrino, se si vanno a cercare, fattori ambientali e/o psicosociali, in queste situazioni: il più delle volte però questi passano in secondo piano, anche perchè l'intervento più disponibile e facile da attivare è quello logopedico, che si ritrova così ad essere l'intervento di scelta in una quantità di disturbi dello sviluppo infantile, dall'autismo, all'iperattività, ai disturbi del comportamento e oppositività alle difficoltà di linguaggio alle difficoltà di apprendimento.
E' molto più difficile come è noto avere interventi di altro tipo nei servizi, (psicoterapico, sociale, educativo ecc) per cui è tipico che si risponde alle domande con gli strumenti disponibili anche se questi non sono quelli indicati: se il salumiere non ha il prosciutto voluto, è probabile che si ripieghi su quello che ha, e magari ci si convinca che "va bene anche quello". E magari anche che "è il migliore". Potenza del bisogno!
La scelta poi di quali strumenti dotare i servizi, come è noto, spesso soggiace a influenze di vario tipo su cui glissiamo.
Un altro malcostume ormai diffuso è che le famiglie incappate nello screening arrivano avendo già avuto dall'insegnante sia la diagnosi che la terapia, cioè dislessia e logopedia, e qualsiasi altra indicazione finisce per essere vissuta come una lesione dei loro diritti.
La preoccupazione di quell'insegnante è a mio parere legittima e fondata.
Dr Gianmaria Benedetti
http://neuropsic.altervista.org/drupal/