La prima reazione è stata, diciamo, di tipo “romantico”, era un NO a prescindere da qualunque cosa: i monti di Montiego non sono in vendita. Di eolico ne conoscevamo poco, nessuno era contrario ma trovarcelo nel nostro giardino ci ha fatto riflettere. Sentivamo la difficoltà di difendere la nostra posizione, in particolare per il fatto che facilmente si finiva in contraddizione con quanto molti di noi hanno sempre sbandierato per la difesa dell'ambiente.
Alle nostre rimostranze, i "professionisti" dell'ambiente diagnosticarono la sindrome di Nimby (...sono d'accordo purché non venga fatto nel mio giardino!): ci guardavano increduli, increduli che proprio noi, che da sempre reclamavamo interventi per la difesa dell'ambiente, ora ci opponessimo alla possibilità di produrre “energia pulita” proprio allo scopo di salvaguardare il futuro del nostro pianeta.
I caldi estivi, nelle poche occasioni di discussione, sembravano accentuare gli elementi di contrasto. Ognuno era appiattito sulle sue posizioni, nessuno cercava punti d'incontro, mettendo in secondo piano il fatto che ben poco si conosceva sull'eolico. Eravamo frastornati, le critiche abbondavano, sembrava di essere l'ombelico del mondo, sembrava che qui si giocasse il futuro dell'umanità intera. A settembre iniziammo ad approfondire questo nuovo mondo, senza immaginare quanto fosse ampio e complesso, denso di ulteriori problematiche oltre a quelle strettamente ambientali, che per noi continuavano ad essere pur sempre le più importanti.
Nell'ottobre '09 l'amministrazione comunale, con una specifica delibera, diede il via alla procedura per chiamare i cittadini di Urbania ad esprimere un parere sul progetto dell'impianto eolico nell'oasi di Montiego. In detta delibera si proponeva la formazione di due comitati denominati semplicemente del “No” e del “Sì”, che avrebbero dovuto informare la cittadinanza sul perché essere contrari o favorevoli, nell'ambito di dibattiti pubblici sull'argomento promossi dalla stessa amministrazione.
A seguito di tale delibera abbiamo dato vita al comitato del NO; la partenza non è stata facile in quanto pochi di noi avevano un passato di militanza in qualche movimento, ma la contrarietà allo scempio delle colline di Montiego era un forte collante nel tenerci uniti. Non avevamo le idee molto chiare e ne avemmo la certezza a fine ottobre nel corso del primo incontro pubblico organizzato dall'amministrazione.
Loro elogiavano una tale scelta in quanto esempio di progresso, scelta auspicata dalle maggiori autorità mondiali avente come obbiettivo la difesa del pianeta. Opporsi ad una scelta del genere equivaleva ad un atteggiamento oscurantista, per di più fatta da gente da sempre in prima linea nella difesa dell'ambiente.
Come si poteva essere contrari ad una scelta avente come obbiettivo la riduzione delle emissioni di CO2, la produzione di energia pulita! Insomma, sacrificare l'oasi di Montiego era una cosa accettabile per un fine così nobile... Oltre tutto, c'erano da mettere in conto gli enormi benefici economici derivanti da tale progetto, aspetto di primaria importanza per le casse del nostro Comune.
L'incontro fu per noi una bella lezione: dovevamo darci un'organizzazione, occorreva approfondire le questioni legate all'eolico in maniera più pragmatica, serviva un informazione precisa e mirata su questioni che potessero interessare quanta più gente possibile, dovevamo pensare alla "pancia" della gente e lasciar perdere la "poesia".
Si iniziò a guardare molto meno le questioni paesaggistiche e ambientali e ci concentrammo sugli aspetti tecnici del progetto, in particolare quelli che stavano alla base delle compensazioni economiche preventivate per il Comune. In fin dei conti la riduzione di CO2, energia pulita, difesa del pianeta, nella realtà erano cose di secondo piano rispetto alle compensazioni derivanti dall'energia prodotta dall'impianto, e non a caso era l'argomento più sbandierato dal SÌ.
Avevamo individuato la "pancia" e su questa abbiamo iniziato a lavorare, non c'è cosa più indigesta nel godersi un invito a pranzo e di scoprire di essere anche colui che paga il conto. Il nostro lavoro ha messo in luce come il calcolo delle compensazioni si basava su dati teorici e per di più privi di ogni garanzia, ma sufficienti per convincere le amministrazioni sempre a caccia di nuovi fondi; compensazioni che rimanevano comunque una miseria se confrontate ai profitti dei gestori di impianti eolici.
Leggi estremamente garantiste e incentivazioni così alte rendono conveniente realizzare impianti eolici anche in zone scarsamente ventose, zone che in Europa nessuno prenderebbe in considerazione. A conferma di ciò, è sufficiente mettere a confronto le produttività degli altri paesi europei con quelle italiane: le produttività minime europee corrispondono alle nostre produttività massime. Nonostante la generale scarsità di vento, l'eolico italiano, da un punto di vista dei profitti, è di gran lunga il primo in Europa.
Profitti che provengono dalle tasche degli italiani e per di più a loro insaputa, il tutto infarcito da una retorica che presenta il ricorso alle fonti rinnovabili come l'unica soluzione possibile per prevenire il paventato cataclisma climatico previsto per i prossimi anni.
Gli argomenti del SÌ sono stati ampiamente appoggiati da esponenti di una nota associazione ambientalista, che con atteggiamento messianico ci hanno sistematicamente puntualizzato:
– il fatto di stare sempre a parlare ma in realtà non fare mai niente;
- il ricordarci l'importanza delle fonti rinnovabili in quanto sono la salvezza del mondo;
- il dire no all'eolico è una cosa stupida;
- la gente si deve impegnare direttamente ad affrontare i problemi dei cambiamenti climatici;
- essere contro ai grandi impianti eolici significa essere a favore del nucleare.
Su molte cose concordavamo, ma dalla loro esposizione emergeva una grossa contraddizione: da una parte si chiede un cambiamento dello stile di vita delle persone tale da farsi carico dei problemi energetici, mentre dall'altra si sostengono a spada tratta questi impianti eolici industriali, senza riflettere sul fatto che sono un continuo della vecchia politica di concentrazione energetica. Per questa politica è poco importante se l'energia sia prodotta da carbone, dal nucleare, dal petrolio o dal vento; ciò che conta è l'equazione: energia = denaro = potere.
La logica degli impianti industriali, al di là della fonte utilizzata, promuove la solita politica di controllo energetico e quindi di potere, un ideologismo basato sulla difesa aprioristica della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come elemento prioritario per la difesa dell'ambiente. Ciò continua a impedire la crescita di una consapevolezza individuale sull'importanza dell'energia, consapevolezza che possiamo ottenere solo attraverso una partecipazione diretta alla gestione dell'energia.
La consultazione popolare è terminata il 17 gennaio 2010 con una votazione per decidere SÌ o NO ad un impianto eolico di 24 pale alte 120 metri nelle colline di Urbania, visibili da Urbino, nota città rinascimentale. Il risultato è stato il raggiungimento di una percentuale di votanti che ha superato il quorum stabilito e una netta vittoria dei NO (82%) sui SÌ (18%).
Sono maturi i tempi per un nuovo modo di tutelare l'ambiente, ciò dovrà partire dal giardino di casa perché è proprio nel giardino di ogni casa il luogo ove si dovrà produrre energia; è proprio nella casa di ciascuno di noi che si dovranno ridurre gli sprechi, aumentare l'efficienza, imparare cosa significa “energia”.
Solo se so come si fa il pane, se metto le mani in pasta, posso capire il valore del pane che mangio e così è per l'energia: solo se partecipo alla sua produzione e al suo utilizzo, solo se la conosco posso capirne il valore non solo economico ma ambientale.
Oggi, quando si parla di fonti rinnovabili automaticamente si pensa alla produzione di energia, ma il significato vero di fonti rinnovabili è “pensare e comportarsi in maniera sostenibile”; a cosa serve produrre energia pulita se con questa continuo a costruire auto inquinanti o giocattoli in materiali non riciclabili?
Focalizzare l'attenzione solo sulla produzione di energia, così da farlo diventare l'elemento prioritario del tentativo d'impedire il disastro del pianeta, è indice di una visione miope, di un'incapacità a guardare i problemi nella loro totalità, o più semplicemente si cercano ad ogni costo cambiamenti senza valutarne le conseguenze. Negli incontri ad Urbania, tra i favorevoli al Sì era molto frequente la frase “qualcosa dobbiamo pur fare!”, poco importa se poi il rimedio risulti peggiore del male.
Riflettiamoci un poco, chiediamoci perché tante aziende si sono buttate nel settore delle fonti rinnovabili? Per amore del pianeta? Perché si riducono le emissioni dei gas serra? Per il bene della collettività? O più semplicemente per il fatto che permettono facili profitti?
Per un'azienda è normale puntare a dei profitti e fin qui niente di strano, ma il problema è nel sentire comune: la gente percepisce le fonti rinnovabili come un modo per fare soldi, basta guardare com'è concepito il conto energia, per la gran parte delle persone è solo un buon sistema per guadagnarci.
L'aver installato impianti fotovoltaici ha portato molti ad aumentare i consumi di energia elettrica, in parte a causa del meccanismo dello scambio sul posto e delle incentivazioni del conto energia, il resto riguarda il fatto che questa scelta non scaturisce da una convinzione ambientale ma solo da stimoli di tipo strettamente economico.
Vedere nelle fonti rinnovabili solo un modo per fare soldi - non a caso era l'argomento principale a sostegno del progetto nell'oasi di Montiego - impedisce la crescita di una cultura dell'energia: finché penseremo a produrre altra energia continueremo ad alimentare la spirale dei consumi per poi ritrovarci punto e a capo a chiederci come produrne altra.
La vera fonte rinnovabile è, prima di tutto, un cambiamento dei comportamenti, uno stile di vita indirizzato verso l'eliminazione degli sprechi, alla ricerca di una sempre maggiore efficienza nell'uso dell'energia. Dobbiamo intraprendere questa strada affinché ciò che per noi è un impegno possa essere un domani, per le nuove generazioni, semplicemente la normalità.
Per arrivare a ciò, ognuno di noi deve iniziare a mettere “le mani in pasta” nella gestione e produzione dell'energia, dobbiamo iniziare dal giardino di casa, dalla nostra casa, solo così si può capire quanto meglio sarebbe utilizzare in maniera efficiente quella che abbiamo, prima di pensare a produrne di nuova. Le tecnologie ci sono, purtroppo la politica non ci da una mano.
Articolo scritto da Claudio Cerioni.
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