La preoccupante fragilità delle ragioni a sostegno della Tav, per la quale pure si sono mobilitati governo e media, Pd e Pdl, l’ad della Fiat Sergio Marchionne e persino l’arcivescovo di Torino, Severino Poletto, è suggerita una volta di più dall’insistenza quasi ossessiva con la quale l’establishment torinese, dal sindaco Sergio Chiamparino alla presidente uscente della Regione, hanno cercato di rappresentare il movimento No-Tav come un’assurda residualità minoritaria, ormai isolata nel suo stesso territorio: «Quattro gatti, poche centinaia di persone».
A maggior ragione, la pacifica mobilitazione di popolo che il 23 gennaio ha risposto nel modo più corale, con decine di migliaia di italiani scesi in strada malgrado le temperature sottozero, dovrebbe indurre la leadership piemontese a prender nota che proprio il problema capitale – la capacità di rappresentare territori – potrà costare molto caro a chi non vorrà tener conto che l’area interessata dalla Torino-Lione continua a contestare l’alta velocità ferroviaria e l’altissima sordità delle istituzioni, che in dieci anni non sono riuscite a comporre le contrapposizioni di fondo proponendo sintesi efficaci, soluzioni convincenti e democraticamente accettabili.
Fa eco il leader della sinistra, Paolo Ferrero: «Solo qualcuno può pensare che quello che è stato rifiutato cinque anni fa adesso sia accettato. In realtà questa gente sa che la Tav non porta lavoro e distrugge il territorio». Oltre alla Federazione della Sinistra, presente anche con Vittorio Agnoletto, alla grande manifestazione di Susa hanno aderito l’europarlamentare Idv Gianni Vattimo, Franco Turigliatto di “Sinistra critica”, centri sociali e anarchici, ambientalisti come Maurizio Pallante (Movimento per la Decrescita Felice), Coldiretti, sindaci, il candidato regionale dei “grillini” Davide Bono e la Fiom-Cgil: «La Torino-Lione non ha nulla a che fare con lo sviluppo del territorio interessato», sostiene il segretario provinciale torinese dei metalmeccanici, Giorgio Airaudo: «Le grandi opere sono figlie del passato, della vecchia cultura che ha generato i guasti della crisi. Come si può pensare che producano futuro, cioè lavoro e rispetto per le persone e i territori?»
Articolo tratto da Libre, associazione di idee
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