L'Urlo

Parmalat e Africa: depredazione di un Continente parzialmente stremato

L’Africa è un mercato decisamente ghiotto perché le multinazionali non vi vadano a fare shopping ricorrendo a qualsiasi mezzo pur di affermarsi e mietere profitti. Anche la Parmalat non difetta a questa logica. Vediamo come.

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di Romina Arena


L’Africa è un mercato decisamente ghiotto perché le multinazionali non vi vadano a fare shopping. Anche la Parmalat non difetta a questa logica
In Italia abbiamo assistito per lungo tempo all’infinita saga dell’Impero Tanzi, a quell’intricata storia della Parmalat nella quale a rimetterci sono stati solo e soprattutto i piccoli risparmiatori.

Va tuttavia sottolineato che il gruppo campione dell’industria lattiera non ha accumulato meriti e demeriti solo in patria.

Come ogni multinazionale che si rispetti, anche la Parmalat ha visto nei mercati del terzo mondo una sorta di albero della cuccagna al quale aggrapparsi ferocemente. E come ogni multinazionale che si rispetti ha utilizzato i più spregiudicati strumenti a disposizione del liberismo economico per fare piazza pulita della concorrenza e conquistare succulente fette di mercato.

La meta è l’Africa, il Sudafrica per la precisione (ma anche Zambia, Mozambico, Botswana e Swaziland).

Entrando nel mercato, la Parmalat (con la sua sezione specifica Parmalat Africa con sede, manco a dirlo a Mauritius) ha investito 815 milioni di Rand (nell’ordine dei 760 milioni di euro a valuta corrente) nell’industria lattiero-casearia locale controllando il 24,1% della produzione nazionale del Sudafrica. Lì il gruppo di Collecchio ha acquistato le due più grosse industrie casearie del Paese, la Bonnita (100 milioni di Euro) e la Towercop.

L’acquisto di Bonnita, però, non limita l’azione di Parmalat al solo Sudafrica.

latte
Il gruppo campione dell’industria lattiera non ha accumulato meriti e demeriti solo in patria
Lo Zambia nel 1990 si imbarcò in imponenti programmi di aggiustamento strutturale che, come da dogma neoliberista, puntavano alla privatizzazione di quanto fosse proprietà dello Stato. Questo processo ha avuto un impatto drammatico su quello che era il settore caseario nazionale. Ciò che costituiva la pietra miliare del sistema parastatale caseario, il Dairy Produce Board, ovvero il Consiglio governativo sulla produzione casearia, fu privatizzato nella metà degli anni Novanta quando la partecipazione di maggioranza fu venduta alla sudafricana Bonnita per 800,000 Dollari.

Ai produttori zambiani fu garantito il 28% delle quote nella nuova compagnia e la Bonnita si impegnò anche a mantenere i 130 impiegati del DPB. Quando la Bonnita, verso la fine degli anni Novanta, fu assorbita dal gruppo Parmalat Africa, quest’ultimo divenne investitore diretto in Zambia via Sudafrica, comprando a sua volta, nel 1996, il DPB per un costo pari a 6 milioni di Dollari.

Il monopolio della Società di Collecchio è dimostrato dal fatto che Parmalat in Zambia è l’attore economico principale e tratta il 50% del latte non pastorizzato, il 70% del quale proviene da grossi produttori, il resto da circa 400 piccoli produttori.

Questo ha indubbiamente modificato il volto del settore caseario zambiano poiché se da un lato i sostenitori potrebbero affermare che, tutto sommato, la Parmalat in Zambia, acquisendo il latte da piccoli e grossi produttori, ha sì aumentato i suoi utili, ma ha anche contribuito a migliorare le capacità e le competenze di quei medi e piccoli produttori con i quali si interfaccia, è anche vero che, direbbero i detrattori, il resto del mercato dei latticini langue in un sistema di quasi monopolio che vuole tutti gli altri prodotti caseari importati direttamente dal Sudafrica.

Si tratta di merce dai costi di produzione elevati che potrebbe benissimo essere prodotta in Zambia con costi più contenuti utilizzando i fornitori locali di latte non pastorizzato.

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Calisto Tanzi ha fondato la Parmalat nel 1961. Nel 2003 è stato arrestato nell'ambito delle inchieste sul crac Parmalat
La scalata al potere economico africano, quindi, è stata veloce, tutta costellata da numerose acquisizioni finanziate con crediti basati su vere e proprie frodi.

È infatti stato appurato come tra la metà degli anni Novanta ed il 2003, anno in cui si è verificato il crack, i rapporti finanziari tra la Parmalat e la Bank of America ammontassero ad un miliardo di dollari.

Secondo il nucleo tributario della Guardia di Finanza di Bologna, sono tre le operazioni di finanziamento che la Bank of America mise in piedi con la Parmalat. Tra queste spiccano 60 milioni destinati a Parmalat Sudafrica, Cile e Africa. Stando alle indagini del Nucleo, Bank of America pose come condizione per l’erogazione del prestito a Parmalat Sudafrica la cancellazione di un altro finanziamento erogato a Parmalat Usa, per il valore di 17 milioni di dollari, reintegrati in parte alla Bank of America utilizzando i soldi del finanziamento a Parmalat Africa.

Lo scopo formale dei 15 milioni destinati a Parmalat Africa era di finanziare un import-export. Dopo quattro giorni dal loro arrivo sui conti della controllata africana, però, i 15 milioni vanno su un conto di Parmalat Usa e poi saranno destinati a chiudere, almeno in parte, la linea di credito della banca nei confronti della controllata americana. Almeno questo è quello che ha dichiarato in aula il Maresciallo Alessandro Colaci che ha diretto le operazioni del Nucleo.

Nonostante questo e nonostante il crack, nel 2003 la Società ha raggiunto un accordo per acquisire in Sudafrica l’attività della divisione formaggi della Unilever Bestfoods Robertson South Africa (Ubr) per una cifra pari a 7,5 milioni di euro acquisendo i brand di due formaggi in particolare: Simonsberg e Melrose (senza assunzione di debiti).

Inoltre Parmalat si era impegnata a rilevare il magazzino formaggi della Ubr per 1,7 milioni di euro. Questa azione era però soggetta all’autorizzazione da parte della locale autorità antitrust. In realtà la Parmalat non è assolutamente estranea alla Competition Commission Sudafricana, ovvero l’autorità antitrust, che dal 2005 ha fatto partire un’approfondita indagine sul cosiddetto “cartello del latte”.

parmalat
La Parmalat ha visto nei mercati del terzo mondo una sorta di albero della cuccagna al quale aggrapparsi ferocemente
Nel 2006, infatti, Parmalat ricevette la notifica di un’istruttoria nei suoi confronti avviata dalla Commissione di tutela della concorrenza di Pretoria con l’accusa di aver stretto un tacito accordo con le concorrenti Clover Industries, Clover South Africa, Ladismith Cheese, Woodlands Dairy, Lancewood, Nestlè e Milkwood Dairy per mantenere i prezzi artificiosamente alti.

Nello specifico si accusa la Parmalat Sudafrica e gli altri player di scambio di informazioni sui prezzi del latte; stipulazione di accordi incrociati per la vendita del latte in eccesso e stipulazione di esclusive di vendita con i produttori. Il processo dinanzi al Competition Tribunal di Pretoria è iniziato nel gennaio 2007, la prima udienza è stata nel settembre 2008. Prima che si concludessero le indagini della Commissione la Clover ha chiesto ed ottenuto un trattamento favorevole presso la Commission’s Corporate leniency Policy.

Stessa cosa per la Lancewood che davanti alla Commissione antitrust ha ammesso di aver contravvenuto alle norme del Competition Act. La Società si è fatta carico di pagare una penale amministrativa di 100.000 Rand e si è offerta di collaborare alle indagini ancora in corso per gli altri player, incluso Parmalat. Per un processo tuttora in corso, la Società di Collecchio rischia, secondo le normative antitrust sudafricane, una sanzione pari al 10% del suo fatturato annuo realizzato in Sudafrica.

Per quanto la Parmalat sbandieri fatturati da record in territorio africano, renda nota la prodigalità con la quale contribuisce al miglioramento delle competenze tecnologiche nel settore lattiero-caseario e vinca annualmente la prestigiosa competizione (sic) per il miglior formaggio del Continente (il Cheddar per gli amanti della gastronomia), nonostante cerchi, insomma di apparire come una Società sana ed in salute, difficilmente riesce a smentire il carattere neoliberista che la contraddistingue.

Si è fatta spazio nel mercato africano a forza di frodi e soprusi, partendo dal presupposto che la legge del più forte sia il passepartout che apra ogni porta e che il fine del profitto giustifichi sempre i mezzi con i quali si crea.

Ulteriori fonti (oltre ai collegamenti inseriti nel testo):

Sul cartello del latte e la Competition Commission:

http://www.comptrib.co.za/%5Ccomptrib%5Ccomptribdocs%5C984%5C78CACJul08.pdf (fonte Competition Commission South Africa)

http://www.webberwentzel.com/wwb/view/wwb/en/page1873?oid=22723&sn=Detail

http://www.oecd.org/dataoecd/35/15/41959750.pdf

http://www.comptrib.co.za/%5Ccomptrib%5Ccomptribdocs%5C1010%5C103CRDec06Lan eCO.pdf (fonte Competition Commission South Africa)

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24 Gennaio 2010 - Scrivi un commento
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