Il tema, sicuramente stimolante, era incentrato su una doverosa riflessione che non solo ha ripercorso la storia del Muro di Berlino – simbolo dell’astio e dell’antagonismo che ha diviso per cinquant’anni il mondo – a vent’anni dalla sua caduta, ma ha anche e soprattutto analizzato la situazione attuale, prospettando un futuro per un continente – quello europeo – e un intero pianeta che, da campo di gioco di una drammatica partita fra due ideologie apparentemente contrapposte, si è trasformato in un grande mercato unico, la cui sola dottrina superstite predica una vita fatta di consumo e produzione, produzione e consumo.
Altrettanto stimolanti erano di certo anche i nomi dei relatori. La discussione è stata aperta dal professor Andrea Panaccione, direttore scientifico della Fondazione Giacomo Brodolini di Milano e attento studioso dei movimenti socialisti e sindacalisti europei.
L’ospite più atteso era però il filosofo francese Alain De Benoist. Già fondatore del GRECE (Gruppo di Ricerca per la Civiltà Europea), De Benoist si è sempre distinto per l’aspra critica nei confronti del modello occidentale, ampiamente contaminato dal liberismo e dal consumismo e terreno fertile per l’avanzata della globalizzazione. A questo, contrappone le idee di comunità, socialismo, sussidiarietà, democrazia rappresentativa, federalismo e decrescita. Proprio su questi temi ha pubblicato diversi libri in Italia con Arianna Editrice, da Comunità e decrescita a Le sfide della post-modernità.
Ma veniamo alla sua interessantissima esposizione. De Benoist è partito con qualche personale considerazione sul Muro di Berlino, da lui visto come vero dramma, una struttura che divideva non solo la Germania ma l’intera Europa, un’aberrazione storica e geopolitica. È stata una vera gioia vedere le scene liberatorie dei tedeschi dell’est e dell’ovest che, dopo la caduta del Muro, si abbracciavano al grido di “Noi siamo un popolo unico!”.
La seconda delusione è relativa al cammino dell’Unione Europea negli anni ’90, il momento di maggiore crescita di questo organismo (il Trattato di Maastricht è del 1992, quello di Amsterdam del 1997): anche qua, invece che scegliere l’approfondimento, attraverso la riscoperta delle radici comuni, si è scelto il semplice allargamento rapido, basato fondamentalmente su obiettivi economici o monetari; in questo modo però la Comunità si è indebolita, poiché ha aggregato paesi troppo diversi fra loro. Tutto questo processo ha poi evidenziato il grave deficit democratico che caratterizza il percorso di unificazione europea.
Infine, la caduta del Muro ha aperto le porte alla globalizzazione. Con la caduta dell’URSS è venuto meno il dualismo del mondo bipolare e il pianeta si è unificato sotto la spinta tecnocratica e finanziaria secondo la logica del capitale. La guerra fredda aveva creato un sistema binario, in cui i paesi dell’est sognavano la libertà che si trovava (o che loro pensavano si trovasse) all’esterno della cortina. Oggi non esiste più alcuna cortina, non c’è più un luogo esterno, la globalizzazione ha abolito tutto facendo scomparire i concetti di spazio e tempo.
Il filosofo francese Paul Virilio ha coniato un termine che fotografa perfettamente la situazione: globalitarismo, ovvero la somma di globalizzazione e totalitarismo.
Ovviamente sono state molte le conseguenze della caduta del Muro. In particolare, questo evento ha posto fine a tre cose: al periodo della guerra fredda caratterizzato dal co-dominio di Stati Uniti e Unione Sovietica; al ventesimo secolo, il “secolo breve” di Hosbawm, che era cominciato nella metà degli anni ’10 (la Rivoluzione d’Ottobre, l’entrata in guerra degli stati Uniti); la modernità, con la caduta del Muro si è passati dall’era moderna a quella post-moderna. Quest’ultimo passaggio epocale ha visto anche l’avvicendarsi dei principali attori storico-politici: allo stato nazione, proprio della modernità, si sono sostituiti le comunità, le reti e i continenti, nuove dimensioni geopolitiche della post-modernità.
In base a questo concetto, De Benoist individua tre periodi storici, ognuno dei quali caratterizzato da tre differenti nomos. Il primo, cronologicamente preponderante, include tutte quelle epoche in cui la storia politica del mondo andava formandosi; il secondo parte dal 1648 – anno in cui venne firmata la carta che riconobbe gli stati nazione come entità basilare dell’ordine mondiale, il Trattato di Westfalia – al 1945, anno in cui terminò il secondo conflitto mondiale; il terzo nomos è quello che va dalla conferenza di Yalta alla caduta del Muro.
Già da diversi anni siamo entrati quindi nel quarto nomos, che però è ancora indefinito: si tratterà forse di un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti e dai loro alleati? O prevarrà uno scenario multipolare dove saranno preservate le diversità e i grandi poli regolarizzeranno la globalizzazione?
Dopo queste interessanti e imprescindibili riflessioni sulla strada che ha portato alla caduta del Muro di Berlino e su quella che è proseguita, nel corso degli ultimi vent’anni, conducendoci alla situazione attuale, De Benoist è passato all’analisi delle prospettive future. L’Europa è sempre al centro del discorso: impotente, paralizzata, bloccata…ma quali sono le sue finalità? Il libero scambio, la creazione di un grande mercato transatlantico e di un impero indefinito senza frontiere geopolitiche?
Non è certo questo il futuro migliore per il nostro continente. Lo slogan lanciato dal filosofo francese è “No all’Europa mercato, sì all’Europa potenza”, laddove per “Europa potenza” si intende un paese autonomo, con frontiere geopolitiche nette, forte di un modello originario di cultura, capace di regolare e frenare la globalizzazione.
Per capire il momento storico in cui viviamo, De Benoist ci suggerisce di riflettere su un paio di dichiarazioni di Vladimir Putin. “La disintegrazione del sistema sovietico è stata la più grande sciagura geopolitica del ventesimo secolo”, ha detto il Presidente russo. Poi ha aggiunto: “chi non rimpiange l’URSS non ha cuore, ma chi vuole rifarla così com’era non ha cervello”.
Giunto al termine del suo intervento, De Benoist non si è sottratto dal trarre conclusioni decise e coraggiose. Prima fra tutte, un’indicazione su quale potrebbe – o dovrebbe – essere il quarto nomos, regolatore della nostra epoca: tenere presenti le caratteristiche dell’età post-moderna e ricordare le leggi della geopolitica. Una di queste leggi, facilmente riscontrabile in ogni periodo storico, è la contrapposizione fra le potenze continentali e quelle marittime (Germania e Gran Bretagna nel secolo scorso, Stati Uniti ed Eurasia nel ventunesimo secolo).
Non bisogna poi sottovalutare il ruolo della Russia, una potenza eurasiatica ma complementare con l’Europa.
Alain De Benoist si è infine congedato dalla platea con un auspicio che suona tanto come un invito: “Abbiamo bisogno di un’Europa autonoma, indipendente dagli Stati Uniti, soggetto della propria storia e non oggetto della storia degli altri”.
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