Quel che resta del Polo

Il riscaldamento globale incide sulle regioni polari con una forza maggiore che altrove. Lo scioglimento accelerato dei ghiacci sta facendo dell’Artico l’ultima frontiera di una colonizzazione economica e geopolitica.

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di Stefano Zoja


Polar meltdown, foto di Arne Naevra
A Spitsbergen, un’isola quasi disabitata dell’arcipelago di Svalbard, a metà strada fra Norvegia e Polo Nord, la Russia contende da anni alla Norvegia i diritti di pesca. I norvegesi, che detengono la sovranità sull’isola, intercettano regolarmente i pescherecci russi; le autorità di Mosca hanno risposto pochi giorni fa promettendo l’invio di navi d’appoggio a protezione dei pescherecci e un incremento delle proprie attività. Russi e norvegesi, per il resto in buoni rapporti diplomatici, sembrano rischiare la crisi in nome degli scampi. Nel frattempo, le misurazioni hanno mostrato che la temperatura media sull’isola è aumentata di sei gradi negli ultimi cento anni e di quattro negli ultimi trenta. E nei fondali circostanti si scava per il petrolio e il gas naturale.

L’Artico è una delle zone della Terra in cui il riscaldamento globale produce i suoi effetti più rapidi. Molte delle previsioni sullo scioglimento di questi ghiacci si sono rivelate sbagliate per difetto: l’Artico si dissolve con una velocità tale che in meno di 25 anni, secondo alcune proiezioni recenti, la banchisa potrebbe essere prossima alla scomparsa. A voler momentaneamente accantonare le serie ripercussioni sul clima globale e sulla biodiversità, questo scenario schiuderebbe opportunità importanti per i paesi che si affacciano sul Mar Glaciale Artico: Stati Uniti (attraverso l’Alaska), Canada, Danimarca (attraverso la Groenlandia) e, naturalmente, Norvegia e Russia.

Il 2 agosto dell’anno scorso una spedizione russa ha depositato sul fondo del mare nei pressi del Polo Nord una bandiera in titanio. Questa recava anche un messaggio alle generazioni future e il simbolo di Russia Unita, il partito dell’ex premier Putin, che ha come logo un orso polare. La verità sull’Artico è che si tratta di una regione molto ricca di combustibili fossili, dal petrolio al gas, l’ultima della Terra che garantisca nuove riserve da sfruttare e da scoprire. È una verità che già all’epoca dell’Unione Sovietica intuivano gli ideatori di uno storico piano per sciogliere i ghiacci del Polo. Ora che il riscaldamento globale sta rapidamente rendendo agibile il Mar Glaciale Artico, si animano le nazioni circostanti. Qualcuno, più o meno spiritosamente, ipotizza una nuova Guerra Fredda.


Una mappa del Polo Nord, immagine tratta dal sito www.telegraph.co.uk
Il Polo Nord non è di nessuno. Le leggi internazionali prescrivono ai paesi di mantenere lo sfruttamento del mare e del sottosuolo entro duecento miglia dalla costa. Ma tutte le nazioni della zona rivendicano porzioni più o meno grandi di territorio. In particolare la Russia, che già vanta il tratto costiero più esteso lungo il Mare Artico, vuole dimostrare che la dorsale Lomonosov, una catena montuosa sottomarina che parte nelle proprie acque e attraversa tutta la regione, Polo Nord compreso, è geologicamente un prolungamento della Siberia. Se gli scienziati dimostrassero questa teoria, molte pretese russe troverebbero un avallo giuridico.

Ma l’ipotesi è tutta da dimostrare. La Danimarca sostiene che la dorsale sia in effetti un prolungamento della Groenlandia, e anche la Norvegia ha la sua versione geologica. Del resto, il quadro scientifico e giuridico è ancora tanto oscuro da far dire a Sergey Primiakov, direttore dell’Istituto di Ricerca dell’Artico e dell’Antartico di San Pietroburgo: “Francamente penso che ci sia qualcosa di strano. A questo punto i canadesi potrebbero dire che la dorsale Lomonosov è parte della piattaforma canadese e ciò significherebbe che la Russia appartiene di fatto al Canada, insieme con l’intera Eurasia”. Come se non bastasse, la legge stabilisce che, quand’anche le rivendicazioni sulle estensioni geologiche avessero valore, nessuno stato può estendere il proprio territorio fino a comprendere il Polo Nord.

Ma storicamente il diritto internazionale non gode di ottima salute, e i cinque paesi si attrezzano. Gli Stati Uniti in questo frangente hanno lo svantaggio di non avere mai ratificato la convenzione sulla legge del mare, promossa dalle Nazioni Unite. Significa che quando si dovranno giudicare le evidenze scientifiche presentate dai vari paesi, gli Usa non avranno rappresentanza. Per questo Bush ha recentemente proposto una frettolosa adesione alla convenzione, ma i numerosi altri obblighi che ne deriverebbero ritardano la decisione americana.

Il Canada non ha avuto finora un atteggiamento aggressivo per quanto riguarda il Polo, ma i recenti sviluppi hanno preoccupato il governo, che ha dato il via alla costruzione di due basi militari sulle isole a nord, ha promosso nuove spedizioni scientifiche e sta preparando una flotta artica. Analogo spirito misurato avevano mantenuto Norvegia e Danimarca, considerate le ramificazioni europee verso l’Artico, un atteggiamento che, fra aperture e irrigidimenti diplomatici, ancora resiste.

La Russia di Putin invece vuole di fatto proporsi come una potenza polare. Il Cremlino ha forzato i tempi per costruire una decina di nuove navi rompighiaccio, sta allargando la sua presenza militare e lanciando una serie di iniziative scientifiche. Se si dovrà giungere a un compromesso, la Russia vuole arrivarci in una posizione di forza. Non è casuale il rapporto presentato dal responsabile della politica estera europea Javier Solana circa tre settimane fa. Un documento di sette pagine con cui i governanti dell’Unione venivano avvertiti di come i rapporti con la Russia – e non solo – potrebbero complicarsi nei prossimi anni intorno a questioni energetiche, e con il riscaldamento globale a fare da acceleratore.

Ma quali sono i tesori nascosti che lo scioglimento dei ghiacci artici potrebbe far emergere? Delle risorse energetiche si è già detto. In un’epoca di interrogativi energetici decisivi, l’idea che l’Artico possa schiudere riserve stimabili intorno al 10–25% del totale degli idrocarburi ancora da scoprire, fa gola a tutti.


Uno scorcio del Polo Nord
L’altro grande premio di questa corsa è l’apertura e il controllo di importanti rotte commerciali, tra le quali il Passaggio a nord est e quello a nord ovest, due nomi che sono mitologia. Il primo è una rotta che si estende dal nord dell’Atlantico, fino alle coste siberiane e al nord del Pacifico, dove termina il territorio russo. In questo momento è aperto solo d’estate, ma si è stimato che nell’arco di dieci-vent’anni potrebbe divenire permanente e costituirebbe una seria alternativa alle tradizionali rotte meridionali, che passano dal Canale di Suez o da quello di Panama, con un risparmio dei tempi di navigazione del 40%. Un percorso che consentirebbe alle navi anche di evitare aree di grande instabilità come il Medio Oriente.

Il Passaggio a nord ovest, invece, collega Atlantico e Pacifico, passando attraverso l’arcipelago a nord del Canada. E’ la rotta che Amundsen ha inaugurato oltre un secolo fa, in un viaggio durato tre anni. L’estate scorsa, per la prima volta nella storia registrata, i satelliti hanno mostrato che il Passaggio si è aperto alla “completa navigazione”. Percorrerlo oggi significherebbe sfruttare la più breve via d’acqua fra Europa e Asia, con un risparmio di ottomila km sull’attuale percorso che passa da Panama, e con vantaggi incalcolabili per quelle superpetroliere la cui stazza costringe a evitare il canale centramericano e a doppiare Capo Horn.

Per il traffico marittimo e per il commercio internazionale sarebbe una mezza rivoluzione. In una sola mossa, nemmeno troppo volontaria, governi e compagnie come Exxon e Shell, si troverebbero nuove risorse da sfruttare e i canali più comodi per distribuirle. Ci si domanda: quando anche lo scioglimento del ghiaccio dell’Artico si potesse arrestare o rallentare, chi davvero lo vorrebbe fra i paesi interessati? Queste nuove prospettive di approvvigionamento energetico, unite al vantaggioso riassetto dei commerci internazionali, scoprono una visuale sconfortante.

Le ultime porzioni di terra selvaggia e ancora incontaminata del pianeta sono oggi percorse solo da pochi scienziati e militari, che prenotano lotti di ghiaccio da svendere sui mercati internazionali. L’affondamento silenzioso di una meraviglia naturale, che quasi nessuno ha potuto mai vedere, coincide con un prevedibile nuovo invelenimento dei rapporti internazionali. Tra venticinque anni la storia del Polo Nord potrebbe essere finita e il mercato degli idrocarburi riavviato. E forse a qualcuno, allora, verrà l’idea di pescare scampi in Antartide.

1 Aprile 2008 - Scrivi un commento
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Un lettore ha commentato questo articolo:
3/8/10 17:13, carlo ha scritto:
mi piacerebbe visitarlo un giorno...
L'uomo si autodefinisce l'essere più intelligente tra gli esseri viventi:"ma allora un genio o chissà chi o che cosa avrebbe già sbriciolato questo pianeta in molto meno tempo!".

Chissà se in una nuova era glaciale tutto potrà rinascere?

Grazie e speriamo di poter salvare il più possibile.
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