Consumo Etico

Delfini: un massacro di sangue

A Taiji, in Giappone, ogni anno, in nome di una tradizione di un patrimonio ancestrale, vengono uccisi 3000 delfini da settembre a marzo. Un vero business che costa la vita di questi splendidi animali vittime di un orrore inspiegabile.

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di Giovanna Di Stefano

delfini natura sfruttamento uomo
I delfini in natura non sono detenuti, soggiogati e forzati, così come spesso, invece, l'uomo li costringe a vivere
A 500 Km a sud di Tokyo nell’insenatura di Taiji, una cittadina di sole 4000 anime che si affaccia su Pacifico, si consuma ogni anno un terribile massacro: una pratica, difesa dalla popolazione locale come tradizione e patrimonio ancestrale che dura da più di 400 anni, che è responsabile della morte, cruentissima, di migliaia di delfini. Ne vengono uccisi circa 3000, tra delfini e piccole balene, nel periodo di caccia che va da settembre a marzo. Una mattanza circoscritta in un’area geografica limitata ma che alimenta un business a molti zeri e viene condotta con un’efferatezza che si stenta a credere.

Gli animali vengono dapprima adescati con stratagemmi che mirano a disorientarli: i pescatori cominciano a battere i remi sull’acqua creando una sorta di "muro di suono" che sconvolge e disorienta i delfini attirandoli inevitabilmente storditi dentro le reti, con cui vengono trascinati in un’insenatura naturale poco distante da Taiji e lì poi massacrati a colpi di coltelli, fiocine e lame. I delfini macellati in questo modo brutale prima di morire agonizzano penosamente, con il corpo squartato si dibattono impotenti tra enormi sofferenze. Il sangue in pochi attimi si riversa nella stretta lingua di mare di questa insenatura che si tinge di rosso.

“Avete mai visto un delfino suicidarsi? Io sì. È arrivato ferito, dietro di sé lasciava una scia di sangue. Ha cominciato a scagliarsi contro gli scogli. Una scena orribile. Alla fine non è più riemerso. Penso gli avessero appena ucciso la mamma. Era disperato, urlava, urlava. Poi il silenzio. E la gente, intorno, che rideva. Di lui, e di noi che piangevamo. Sono ancora sconvolta. L'acqua era tutta rossa. Sono dei barbari assassini”.

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Gli animali vengono dapprima adescati con stratagemmi che mirano a disorientarli: i pescatori cominciano a battere i remi sull’acqua creando una sorta di "muro di suono" che sconvolge e disorienta i delfini. Foto tratta da L'espresso/Multimedia
E’ la testimonianza di Audrey, 24 anni, venuta dalla California con un gruppo di amici surfisti e ambientalisti, ma non per cavalcare le onde locali bensì per protestare e denunciare lo scempio che viene commesso ogni anno in questo mare, lontano dagli occhi di tutti, di chi poi il delfino se lo mangia, a volte spacciato addirittura per carne di balena, considerata in Giappone una vera leccornia e perciò più costosa. La popolazione locale si nutre di carne di delfino da secoli, tuttavia, da quanto emerge dalle interviste e dai sondaggi fatti dagli stessi ambientalisti, persino la gente del posto ignora le esatte modalità con le quali viene condotta la caccia ai delfini, opportunamente occultata dai pescatori e dagli addetti ai lavori, per evitare che “questioni etiche” possano creare problemi al loro grasso business.

Ma nonostante i cacciatori giapponesi, supportati dalla polizia, cerchino in tutti i modi di impedire l'accesso (tra l’altro illegalmente) alle zone off limits e al loro sanguinario segreto, gli animalisti sono comunque riusciti ad eludere i controlli dei pescatori ed entrare nella “zona rossa” per filmare lo scempio e mostrare al mondo che è proprio il rosso sangue il colore del mare di Taiji. Per mettere a segno la difficile impresa è stato necessario un piano molto ben studiato, un’equipe di gente esperta e soprattutto molto motivata a portare alla luce la verità.

E’ stato O'Barry a condurre il progetto e le stesse riprese, l’ex allenatore del famoso delfino Flipper, poi pentitosi di aver rivestito un ruolo così poco amico degli animali, detenuti, soggiogati e forzati nella loro natura di animali liberi, quindi sceso in campo, da ormai 40 anni, per la loro difesa. Le riprese sono state possibili anche grazie alla professionalità di una coppia di esperti sub, Kirk Krack e la moglie Mandy-Rae Cruickshank, otto volte campionessa mondiale di free diving, che si sono immersi in profondità, ed entrando di nascosto nella baia hanno posizionato le telecamere subacquee ipersensibili (è stato utilizzato materiale molto sofisticato, tra cui anche telecamere termiche montate a bordo di elicotteri radiocomandati) che avrebbero poi ripreso tutte le scene dello scempio.

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Un pescatore con le sue "prede". Foto tratta da L'espresso/Multimedia
Uno scempio che sebbene noto già da anni grazie a investigazioni e testimonianze di esponenti del mondo ambientalista non era mai riuscito a riscuotere un interesse a livello mondiale e suscitare l’indignazione di persone, amministrazioni e governi così come sta accadendo ora, proprio grazie a questo documentario shoc, uscito da poco in molti paesi, che riprende tutte le scene della mattanza dei delfini e che sta facendo il giro del mondo.

Il film, realizzato dal regista americano Louie Psihoyos, fotografo di National Geographic insieme allo stesso O'Barry, è intitolato “The Cove”, “la baia”, riferendosi al luogo dove i delfini vengono attirati con l’inganno per poi essere uccisi, ed è stato reso possibile grazie alla generosità del magnate Jim Clark, il miliardario padrone di Netscape e, indirettamente di You Tube, che pare abbia stanziato il sostanzioso budget di 5 milioni di dollari.

La prima del film è stata proiettata, dopo faticose trattative, proprio nelle sale giapponesi, presentata a ottobre al Tokyo International Film Festival ed ha già ricevuto un premio all’edizione 2009 del Sundance Film Festival negli USA. Il trailer è accessibile in rete e sta avendo grande diffusione nel web, mezzo potentissimo che sopperisce in questo caso ad una distribuzione del film che per ovvi motivi sarà piuttosto limitata, dato il suo carattere di documentario e non di intrattenimento puro, quindi con un potenziale pubblico più ristretto.

Ma forse, ancora una volta, non sarà il senso di civiltà, la volontà di affermare un’etica nei consumi, la sana e civile indignazione del mondo di fronte a tanta sofferenza a salvare questi animali. Ancora una volta la salvezza per gli animali proviene da una direzione opposta, dalla volontà di tutelare noi stessi, la salute dell’uomo.

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Mar rosso nella baia di Taiji dovuto al sangue dei delfini uccisi
Il punto fondamentale per la probabile soluzione del problema, quindi per la messa al bando di questa pratica, risiede infatti nella presenza di altissimi valori di mercurio riscontrati da analisi di laboratorio nelle carni di questi delfini: esemplari di carne venduta nei supermercati (alcune importanti catene ne proibiscono la vendita) hanno rilevato dosi di metilmercurio 20 volte superiori al limite fissato dalle autorità giapponesi, che è di 0.04. “La tragica ironia” – conclude il regista – “è che l’unico modo per salvare il delfino è dimostrare che abbiamo fatto l’ambiente così tossico da non poterne più mangiare la carne”. Secondo Tetsuya Endo, docente di scienza dell'alimentazione all'Università di Hokkaido, "i giapponesi vengono scientemente avvelenati dalle loro stesse autorità, che non hanno il coraggio di intervenire". Anche questo dato, la presenza del mercurio nella carne dei cetacei in Giappone, non è una novità, dal momento che già due anni fa il Japan Times in un articolo affermava che “la cattura e le uccisioni dei delfini sono compiuti all’interno del parco nazionale Yoshino Kumano Kokuritsu Koen, gestito dal ministero dell’Ambiente” aggiungendo che “esami di laboratorio hanno a più riprese mostrato i livelli estremamente alti di mercurio riscontrati nella carne di delfino”.

sfruttamento uomo delfino
Un esempio di sfruttamento da parte dell'uomo degli animali
Quindi ovunque si mangi carne di delfino vi è un oggettivo rischio per la salute della popolazione, rischio che come spesso accade viene minimizzato dalle autorità e dagli interessi legati al mercato. Solo una minima percentuale di questi delfini, gli esemplari più belli, non finiranno nel piatto, essendo destinati ad alimentare un altro fiorentissimo business, quello degli zoo acquatici e dei parchi di divertimento per bambini.

Taiji, una cittadina dove in apparenza il delfino viene addirittura venerato, così come la si vede piena di statue, mosaici e murales che riproducono questo splendido animale. Ma la realtà è ben diversa, e poco più in là si consuma l’orrore. Ora tutto il mondo lo sa, grazie al film denuncia The Cove e nessuno potrà più negare la realtà.

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10 Novembre 2009 - Scrivi un commento
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