800.000 fucili e una passione a mano armata (seconda parte)

Centinaia di migliaia di fucilieri possono sparare su almeno il 70% del territorio extraurbano italiano con una libertà considerata follia altrove. Se però tale follia è perpetrata a scopo “venatorio” essa diventa, come per magia, “legale”. Vediamo perchè.

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di Fillippo Schillaci

caccia legge italia
La “magia” si chiama in Italia legge 157 del 11 febbraio 1992, e porta il titolo “Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”
Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto come centinaia di migliaia di fucilieri dilettanti sono autorizzati a sparare su almeno il 70% del territorio extraurbano italiano con una libertà tale che sarebbe considerata follia in qualunque altro contesto. Se però tale follia è perpetrata a scopo “venatorio” essa diventa, come per magia, “legale”. E continua a esserlo nonostante essa provochi ogni anno decine di vittime umane. Vediamo ora di entrare nei dettagli di questa “magia” e di capirne il funzionamento.

La “magia” si chiama in Italia legge 157 del 11 febbraio 1992, e porta il titolo “Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio”. Già il suo art. 1 introduce a un mondo di anomale omissioni. Eccolo:

L’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.

L’omissione che colpisce è che “l’esercizio dell’attività venatoria” non costituisca pericolo per l’incolumità pubblica, cosa ben strana trattandosi di un “esercizio” consistente nell’uso massiccio di armi da fuoco in luoghi promiscui con altre attività umane e che pertanto «può porre in pericolo la tranquilla convivenza dei cittadini, la loro incolumità, particolari attività da questi svolte¹, ecc.» . Quest’ultima frase non l’ho tratta da una pubblicazione ambientalista o animalista ma da un manuale di tecnica venatoria della Federazione Italiana della Caccia. E’ un manuale piuttosto vecchio a dire il vero, risalendo al 1979, tuttavia il fatto che sul tema di cui stiamo discutendo non vi sia stata in 30 anni alcuna evoluzione fa sì che esso, sotto questo aspetto, sia ancora di piena attualità, un’attualità di cui cercheremo di fare buon uso nel seguito.

animali uccisi caccia morti ufficiali
Per quanto possa apparire incredibile non esistono dati ufficiali sul numero di morti provocati ogni anno dall’attività dei cacciatori
Ma prima di andare avanti cerchiamo di farci un’idea quantitativa delle dimensioni del fenomeno. Per quanto possa apparire incredibile (ma non più di tanto, viste le premesse) non esistono dati ufficiali sul numero di morti provocati ogni anno dall’attività dei cacciatori. Unica eccezione, nel 2002, un dossier EURISPES² che ne conteggiò 47. Conteggi ufficiosi fatti in base a rassegne stampa negli anni successivi mostrano che questa cifra si ripete ogni anno con variazioni minime.

Ma il numero assoluto da solo non dice nulla. Per rendersi conto di cosa esso significhi può essere utile, ad esempio, un confronto con i morti per incidenti sul lavoro. Essi furono quell’anno 1300, dunque apparentemente molti di più. Tuttavia rapportando questi valori assoluti alle dimensioni dei relativi fenomeni (800.000 cacciatori e 21 milioni di lavoratori, 5 mesi all’anno di caccia contro 11 mesi all’anno di attività lavorativa ecc.) si scopre che la frequenza degli incidenti mortali nella caccia è oltre 6 volte superiore a quella degli incidenti mortali sul lavoro (il conteggio dettagliato è riportato in [1]). In altre parole, se la consistenza numerica del fenomeno “caccia” fosse pari a quella del fenomeno “lavoro” i morti per incidenti di caccia in Italia sarebbero oltre 7200 all’anno.

Nonostante ciò, continuando a scorrere il testo della legge 157/92, si cercherebbero invano in esso norme relative alla prevenzione degli incidenti. Se si eccettua l’obbligo di mantenere irrisorie distanze da edifici e strade (obbligo peraltro abbondantemente disatteso, come abbiamo visto nella prima parte) il concetto di prevenzione sembra essere sconosciuto al legislatore venatorio. E non è per distrazione che sia così. In uno studio di qualche anno fa [1] sono stati analizzati alcuni consigli di prudenza contenuti nel manuale della Federcaccia prima citato che potrebbero essere presi come base per una ipotetica introduzione di norme di sicurezza nella legge sulla caccia. Ne è risultato che tali consigli sono in pratica inapplicabili. Ovvero che la caccia è, sotto l’aspetto della sicurezza, irriformabile. Vediamone due esempi.

caccia visibilità
Bisogna astenersi sempre dallo sparare a un selvatico se non si ha dinanzi a sé la massima visibilità
«Astenersi sempre dallo sparare a un selvatico se non si ha dinanzi a sé la massima visibilità, ricordando sempre [che] se un pallino a 100 metri non abbatte un selvatico, può sempre accecare una persona! Se un selvatico si leva in terreni cespugliati ad altezza di uomo, astenersi in ogni maniera dallo sparargli: sulla traiettoria dei pallini può sempre esservi un essere umano!».

Nella realtà moltissimi incidenti accadono proprio per la violazione di questo consiglio. D’obbligo domandarsi come mai quello che dovrebbe essere un comportamento intuitivo per chiunque (non sparare alla cieca) viene invece così spesso accantonato nell’attività venatoria. La risposta è che le condizioni di piena visibilità nelle campagne e ancor più nei boschi si verificano molto di rado. Per l’esattezza si verificano esclusivamente nel caso di terreni prevalentemente o totalmente pianeggianti coperti da vegetazione molto bassa per una estensione pari a tutto il campo di tiro; cioè in una percentuale assolutamente esigua dei terreni soggetti all’attività venatoria.

Il cacciatore che spara senza avere una chiara idea di cosa (o meglio chi) andrà a colpire dunque non è da intendersi come uno sconsiderato che nel premere il grilletto in quelle condizioni compie un gesto irresponsabile. Egli spesso si trova a dover inevitabilmente agire in quel modo, pena il fallimento della giornata di caccia. Se mai si potrebbe concludere che il gesto irresponsabile egli lo ha compiuto a monte, quando ha richiesto la licenza di caccia.

Analoghi discorsi valgono per il consiglio seguente:

«Non sparare contro muretti, contro rocce, contro terreni sassosi; i pallini rimbalzano sempre prendendo le più imprevedibili direzioni; ciò avviene, anche se la cosa a molti può apparire impossibile, anche sull’acqua».

Nonché sui tronchi e sulle fronde degli alberi che, insieme a muretti, rocce terreni sassosi ecc. si incontrano pressoché ovunque sul territorio. L’esercizio venatorio avviene pertanto in moltissimi casi in presenza di condizioni ambientali in cui il rimbalzo, dunque la perdita di controllo della traiettoria dei pallini, è una eventualità altamente possibile.

uccelli uccici caccia visibilità
l’unica efficace misura di prevenzione razionalmente attuabile è quella di limitare la caccia a casi ben precisi
Senza procedere ulteriormente in questa analisi (per la quale rimando nuovamente a [1]) si conclude che l’unica efficace misura di prevenzione razionalmente attuabile è quella di limitare la caccia ai casi prima descritti a proposito della visibilità e in più privi di elementi che possano provocare il rimbalzo dei proiettili. Il che poi equivale a vietarla quasi ovunque. E si comincia con ciò a comprendere le ragioni della arretrata impostazione della Legge 157/92 in tema di sicurezza: applicare a questo aspetto della caccia una evoluzione legislativa analoga a quella verificatasi in altri campi significa di fatto porre fine alla caccia.

E questa constatazione se ne porta dietro un’altra: la caccia è un’attività per sua intrinseca natura incompatibile con i moderni principi che vedono nella salute e nella sicurezza del cittadino un valore primario. Essa nasce in epoche remotissime e si svolge fin dalle sue origini secondo modalità affini alla guerriglia, né ha subito né può subire sostanziali evoluzioni se non in funzione della tecnologia degli attrezzi (dalla “clava” alla carabina) rimanendo tuttavia immutata, di questi ultimi, anzi essendo amplificata dal progredire della tecnica, la intrinseca caratteristica di strumenti atti ad offendere. La caccia attraversa con ciò immutata gran parte della storia umana come lo squalo ha attraversato immutato un lungo arco di evoluzione biologica. Perché la caccia continui a esistere la legislazione attinente deve rimanere estranea a ogni concetto di tutela preventiva della sicurezza, deve ignorare il fatto che tali concetti vengano sempre più acquisiti in ogni altro campo³, deve in altri termini divenire un anacronismo, un’aberrazione giuridica.

Ce ne sarebbe abbastanza da riempire le pagine dei quotidiani, tuttavia ciò non accade. Al contrario, gli incidenti di caccia e gli episodi di tensione sociale generati dai cacciatori sono sempre riportati solo nelle cronache locali, e con scarsa evidenza. Inoltre, nelle cronache degli incidenti ricorrono toni di stupore, richiami all’“incredibile fatalità”, come se ogni volta quell’incidente fosse il primo, l’unico. Questo atteggiamento dei giornalisti raramente è dovuto a una premeditata volontà censoria, piuttosto è espressione di una diffusa percezione del fenomeno venatorio, di ciò che potremmo chiamare un “comune senso della caccia” il quale attribuisce a essa un aberrante status di “normalità”.

cacciatore armi caccia
Nell'immaginario sociale un fucile cessa di essere un'arma nel momento in cui è nelle mani di un cacciatore
In altre parole il costume, ovvero l’immaginario sociale, vede in essa un dato di fatto interno al sistema sociale in cui il “signor Rossi” si identifica, al punto che in quell’immaginario che dà forma alla sua vita un fucile cessa di essere un’arma nel momento in cui è nelle mani di un cacciatore. Ciò non significa naturalmente che la sua presenza a mano armata, lì dove essa è particolarmente invasiva, sia ben accetta e che non generi fenomeni di malcontento e tensione.

Al contrario, ciò accade con notevole frequenza. Tuttavia una cosa è il malcontento, un’altra è la reazione collettiva, il ricorso ai mezzi (tutt’altro che inesistenti, nonostante quanto si è detto) che lo stato di diritto mette a disposizione dei cittadini. La causa di ciò è che nella società occidentale contemporanea è pressoché completamente svanito il concetto di comunità. Il “signor Rossi” vede sempre più se stesso come individuo isolato, al più membro del proprio nucleo familiare, ma non parte del tessuto sociale che popola un certo luogo.

Il pronome “noi” sembra svanito dal suo vocabolario. E’ chiaro invece che, essendo il problema collettivo, solo un’azione collettiva può giungere alla sua soluzione. Da ciò la più volte constatata inerzia della gente, anche quando è vittima di gravi situazioni di pericolo o di sopruso. Nei cacciatori, al contrario, un tale senso della comunità è ben vivo: essi sono riuniti in associazioni monolitiche e capillarmente presenti sul territorio, la solidità delle quali nasce dal fatto che la naturale tendenza all’autoreferenzialità di ogni aggregazione umana coincida nel loro caso con il particolare scopo specifico: la perpetuazione dell’associazione in altre parole coincide con la perpetuazione della caccia.

Questa disgregazione del concetto di comunità civile opposta alla presenza di un forte senso comunitario nelle schiere dei cacciatori è oggi il maggior ostacolo al mutamento dello stato di fatto, il cui perdurare dunque non nasce da una presunta “invincibilità” dei cacciatori ma dall’inesistenza di una qualsiasi forza sociale che prenda in mano il problema costituito dalla loro residuale esistenza e lo conduca a soluzione.

Note:

1 AA. VV. La Caccia: tutela dell’ambiente, legislazione e tecnica venatoria, Federazione Italiana della Caccia, 1979.

2 Il cacciatore tra predazione e ambientalismo, EURISPES, settembre 2002.

3 Un ulteriore confronto possiamo farlo con il Codice della Strada, ad esempio fra il suo art. 190 che vieta l’uso di «tavole, pattini od altri acceleratori di andatura» sulla carreggiata o sui marciapiedi in quanto possono generare «situazioni di pericolo per altri utenti» e l’art. 13 della legge sulla caccia che consente l’uso del fucile sul territorio. Dunque, o il fucile è meno pericoloso dei pattini a rotelle, o nella legge sulla caccia c’è qualcosa di anomalo rispetto agli altri ambiti legislativi in cui entra in gioco il tema della sicurezza.

4 E’ appena il caso di notare che simili considerazioni valgono non solo con riferimento alla caccia ma anche per ogni altro problema coinvolgente la collettività umana.

Bibliografia:

[1] F. Schillaci, Se la caccia fosse un lavoro, sul sito web Ambiente Diritto.

[2] AA. VV., Manuale di autodifesa dai cacciatori, Edizioni Agire Ora, Torino, 2005.

[3] F. Schillaci, Caccia all’uomo, Stampa Alternativa, Viterbo, 2005.

[4] AA. VV., La caccia è ancora un diritto in Italia e in Europa? Atti del convegno, Roma, febbraio 2008, sul sito web dell’Associazione Vittime della Caccia

PER SAPERNE DI PIU' SULL'ARGOMENTO
A che Serve la Caccia?

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2 Novembre 2009 - Scrivi un commento
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7 lettori hanno commentato questo articolo:
20/11/09 12:24, Filippo Schillaci ha scritto:
Anche questo commento del cacciatore Ettore si segnala per la sua tipicità ovvero per la totale assenza di argomenti. E' stato già notato da un altro lettore che la percentuale di aree protette in Italia è ben inferiore al limite del 20-30% imposto dalla legge sulla caccia ma egli insinua che gli enti locali non rispettino tale limite e addirittura lo superino. Ma naturalmente non ci dice quali regioni e di quanto eccedono. Si limita a porlo in dubbio. Su quali basi? Non lo dice.
Quanto poi al finale in cui mi accusa nuovamente di "dimostrare la pericolosità della caccia" facendo "un elenco di omicidi (no incidenti di caccia, ma persone che uccidono i familiari, vicini, parenti, nemici usando un fucile da caccia).. ", ho già risposto diffusamente a questa inconsistente affermazione a commento della prima parte e in particolare ho fatto una distinzione molto netta fra casi colposi (gli unici pertinenti) e casi dolosi prendendo anche le distanze da chi questa distinzione non la fa. Rimando chi mi legge ai miei precedenti commenti alla prima parte di questo articolo. Quanto al cacciatore Ettore, mi sembra che qui siamo sconfinati perfino nell'incapacità di comprendere la lingua italiana e dunque credo che questa discussione si possa concludere qui.
19/11/09 06:09, Ettore ha scritto:
Egr. Sig. Schillaci, se qui dentro c è qualcuno che scrive senza cognizione di causa di certo non sono io!!
In primo luogo non mi risulta di averla mai insultata, ma se secondo lei, essere in disaccordo con le sue affermazioni equivale ad un attacco personale beh...(con chi mi dovrei confrontare poi se non con l autore dell'articolo...mah)
In secondo luogo, la legge esiste. è vero ma secondo lei è attuata? Gli enti locali dispongono in conformità della legge sui territori "liberi"? Giustamente non è sua premura constatare l'effettività della legge, dal momento che per i non cacciatori, basta sapere che questa esiste..beh, la realtà è ben diversa!!
Per quanto riguarda i nostri argomenti deboli che le devo dire? Se lei non conosce le differenti fattispecie che ineriscono alla caccia (che ho cercato di spiegare in commento all'altro articolo), se lei per dimostrare la pericolosità della caccia mi fa un elenco di omicidi (no incidenti di caccia, ma persone che uccidono i familiari, vicini, parenti, nemici usando un fucile da caccia)..
17/11/09 15:33, Filippo Schillaci ha scritto:
Poichè anche la seconda parte di questo articolo ha suscitato qualche reazione da parte di cacciatori credo sia utile un commento finale.

Una piccola premessa innanzi tutto per notare come il cacciatore Ettore mostra, nel penultimo suo messaggio, di non conoscere proprio quella legge sulla caccia che in quanto cacciatore egli sarebbe tenuto a rispettare e che nel suo art. 10 comma 3 impone agli enti locali di destinare alla caccia appunto dal 70 all'80% del proprio territorio agro-silvo-pastorale precisando che nel rimanente 20-30% sono da includersi "i territori ove sia comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni". A questa norma devono sottostare le istituzioni di nuove aree protette, come dire che l'interesse privato di una esigua, anacronistica e, come abbiamo visto, pericolosa minoranza viene anteposto all'interesse della collettività.

Detto ciò, l'insieme dei commenti che questo articolo, nelle sue due parti, ha ricevuto, si segnala per la sua tipicità. Ogni volta che un mio scritto ha suscitato reazioni di cacciatori esse si sono sempre articolate in due fasi: 1) si tenta di mettere insieme qualche argomento che vorrebbe confutare una parte delle tesi esposte. Si tratta in genere di argomenti così deboli che cadono, come credo di aver mostrato anche in questo caso, con una facilità che rasenta il banale. 2) il cacciatore di turno perde allora le staffe e passa all'attacco personale accusandomi di essere un cialtrone e di scrivere solo "castronerie". Questa seconda fase è di regola del tutto priva di argomenti.

Aggiungo, e con ciò concludop, che il materiale di questa seconda parte è tratto da uno studio ben più vasto pubblicato nel 2003 dal sito web Ambiente Diritto (citato al punto [1] della bibliografia). A sei anni di distanza questo lavoro non ha ancora visto nessun tentativo, nemmeno parziale di confutazione. Accuse di cialtroneria tante, argomenti nessuno: un vuoto totale che credo ben rappresenti la realtà odierna della caccia in Italia (e probabilmente non soltanto).
4/11/09 06:12, Ettore ha scritto:
@firulì: io parlo solo di parchi, zone verdi protette, dove la caccia non è praticabile, e se c è uno che si lamenta non sono io ma voi anti-cacciatori..hai mai letto che non mi sta bene una cosa? io rispondo solo alle affermazioni del sig. schillaci!!

4/11/09 03:18, firulì firulà ha scritto:
X ETTORE: scusa, ma sai quanto è grande l'Italia? ben 30.133.800 ettari (dato cercato molto semplicemente in internet - fonte Wikipedia).
Se la caccia è preclusa in 3.060.000 ettari vuol dire che nei restanti 27.073.800 ettari si può cacciare.
Praticamente il 10 % del territorio è ciuso, mentre il 90% è cacciabile: ma la legge 157/92 che tutti i caccitori vogliono cambiare prevedeva il divieto tra il 20 e il 30 % del territorio!
Il territorio protetto è i 10 % e vi lamentate PURE!!!!!
Veniteci a sparare fin dentro ai giardini di casa !
Cacciatori ...brava gente !
3/11/09 16:51, Carlo ha scritto:
credo che il Sig. Schillaci non abbia chiaro assolutamente niente in materia di caccia!!!...lo si evince dalla sequela di castronerie che scrive e vorrebbe far passare come vere!!!...non intendo minimamente polemizzare con lui,....tuttavia... lo esorto a informarsi piu' correttamente allorche' intenda continuare a scrivere sull'argomento !!!
3/11/09 08:04, Ettore ha scritto:
Non ho il tempo di leggere tutto l articolo, mi fermo alla prima affermazione linkando questo sito
http://www.lifegate.it/ambiente/articolo.php?id_articolo=791

"22 parchi nazionali, 110 parchi regionali, 159 riserve naturali statali, 252 riserve naturali regionali, 128 altre aree naturali protette pari a una superficie di 3.060.000 ettari; oltre 3.500 comuni e 300 comunità"

Non capisco dove rimane il restante 70% del territorio extraurbano! Prossimamente cercherò altre fonti magari piu attendibili sulla percentuale di parchi nel territorio italiano inaccessibile ai cacciatori!
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