Spazio ai lettori

Rischia di morire al PS di Albenga per “malasanità”…

Il caso di malasanità raccontato da un lettore accaduto di recente presso il PS di Albenga, per fortuna conclusosi con un lieto fine, è un invito a migliorare una realtà nazionale che, attualmente, non gode di grande fama a causa delle spesso drammatiche defaillance che si verificano.

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ambulanza mala sanità
Al Nord come al Sud, la Nazione è purtroppo accomunata da un incredibile novero di casi di “malasanità”
Al Nord come al Sud, quando si parla di Sanità, fatta eccezione per qualche sporadica realtà che si staglia dal fosco e cupo standard italico, la Nazione è purtroppo accomunata da un incredibile novero di casi di “malasanità”, molti dei quali talvolta si risolvono in modo drammatico.

Non mi riferisco comunque ad un paese del Terzo Mondo e all’opera di chissà quale stregone o negromante: stiamo parlando dell’operosa ed efficiente Liguria (il fatto è accaduto nell’entroterra ingauno) e la categoria coinvolta è quella dei dottori, i coscienziosi seguaci di Ippocrate al quale, previo giuramento, si riconducono nondimeno sin dall’esordio nella loro professione.

Tale giuramento ha subìto adeguamenti alla modernità, ma il contenuto non è intimamente mutato. Per il mero spirito critico ed il desiderio di conoscere che mi contraddistingue, riporto in calce il testo deliberato dal Comitato Centrale della Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri il 23 marzo 2007, recuperato dal web.

Un bell’impegno, non c’è che dire. Ma è ormai passata di moda la figura del “medico condotto”, che raggiungeva il malato ovunque egli si trovasse, in ogni condizione meteorologica o in qualsivoglia “bricco” dimorasse. Oggigiorno la Sanità rientra nella Pubblica Amministrazione e di quest’ultima ne ha ereditato i difetti congeniti. E ancora una volta chi ne patisce le conseguenze è il cittadino.

Ma passiamo ai fatti.

L’episodio accade fra le giornate di mercoledì 14 e giovedì 15 ottobre 2009.

La signora C. è una donna in buona salute, che tiene in considerazione il proprio benessere praticando sport ed attività fisica e che si dedica alla cura del proprio corpo, senza nulla tralasciare.

È per questo che circa sei mesi prima, in accordo con il proprio dottore, fissa un esame colonscopico perché “dopo i 50 anni è meglio controllarsi”.

La data si avvicina e la signora C. si preoccupa di chiedere sia al medico curante, sia al responsabile del Reparto Endoscopico dell’Ospedale se deve sospendere o no la pastiglia della pressione, un giorno o due prima. Viene rassicurata in merito e consigliata di continuare la terapia.

La preparazione all’esame colonscopico consiste in un periodo di tre giorni durante i quali non si possono mangiare cibi contenenti fibre e addirittura l’ultimo giorno, durante il quale si deve digiunare, occorre assumere cinque bustine di lassativo secondo una posologia definita e la mattina successiva, prima dell’esame vero e proprio, praticare ancora un paio di “perette” lassative, al fine di pulire completamente l’intestino per effettuare l’indagine con la sonda.

La signora C., avendo assunto la pastiglia per la pressione in mattinata, inizia di buon grado le operazioni preparatorie. Una bustina, due, tre… È già il primo pomeriggio di quel fatidico giorno di metà ottobre quando, pur sentendosi già debole e “vuota”, assume la quarta bustina di lassativo.

In serata inizia a star male, con crisi di svenimento e conati di vomito. Si preoccupa di non riuscire a finire la preparazione con la quinta bustina del prodotto, ma la sua salute comincia a peggiorare.

Accusa sempre più frequenti episodi di mancamento e verso le 22 inizia a vomitare e a svenire. Viene immediatamente chiamato il 118 e l’ambulanza, che proviene dai pressi, non tarda ad arrivare. Visibilmente provata, non molto sicura sulle proprie gambe ed infreddolita, la signora viene caricata in barella sull’ambulanza e condotta alla volta del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Albenga.

Qui giunta, verso le ore 22.30, viene presa in consegna dal personale che in quel momento si trova in servizio presso il Pronto Soccorso. L’accoglie un infermiere piuttosto giovane e robusto, con capelli lunghi e scuri, al quale rivolge la domanda “Mi sa dire che cosa ho?”. La signora è già in evidente stato confusionale, preoccupata ed infreddolita, ma come tutta risposta le viene detto “Se fossi in grado si sapere che cosa ha sarei un indovino e come tale non farei di certo questo sporco lavoro”.

Una tale risposta ad una persona con problemi di salute non merita alcun tipo di commento. Il marito accompagnatore viene invitato più volte ad uscire dalla saletta di Pronto Soccorso. La signora resta per ben due ore distesa sulla barella nel corridoio e nell’astanteria si odono distintamente le sue richieste di poter essere accompagnata ai servizi e di avere un po’ d’acqua da bere. Ma nulla di tutto questo. Fuori intanto il tempo trascorre inesorabile.

Nessuna notizia da anima viva. Verso le 0.45 un’infermiera consegna al marito un sacco contenente tutti gli indumenti indossati dalla signora C. e gli viene comunicato che la stessa “ha vomitato”. Passa ancora quasi un’altra ora finché il marito individua un dottore che esce dal PS e riesce a chiedere la sorte della moglie. Viene da questi informato che di lì a poco la signora sarebbe stata dimessa.

Di fatto, verso l’1.45 di giovedì 15 ottobre, C. viene dimessa dal Pronto Soccorso di Albenga, ma il suo aspetto è terribile: rivestita con un camice verde da degente, non si regge quasi in piedi e stenta a camminare, quasi un fantasma. È accompagnata dal marito alla macchina ed ha difficoltà a riconoscere cose e persone. Proferisce soltanto una frase sibillina “Questa volta m’hanno preso per i capelli”, ma non è in grado di spiegarne il contesto e la motivazione. Come si fa a dimettere una persona in condizioni simili?

A casa, infreddolita e vacillante, viene messa a letto, nella speranza di una pronta ripresa. Ha tremiti nel corpo, come piccole scariche elettriche, e chiede spesso di poter bere.

Alle ore 5.35 il marito si sveglia di soprassalto e la scorge intenta a vomitare, soltanto un liquido trasparente, ovviamente, visto che non ha più nulla nello stomaco e nell’intestino. Le si avvicina per aiutarla e chiederle come va, ma C. è preda di un terribile malore che fa supporre al marito il peggio. Sdraiata sul letto, non respira più, ha la bocca serrata e colma di vomito… inizia a diventare cianotica.

Una nuova chiamata al 118, questa volta disperata e urlata: “Correte presto, mia moglie sta morendo!”. L’operatrice del 118 riesce ad ottenere l’ubicazione della casa e questa volta manda un’ambulanza ed un’auto medicale, con una dottoressa ed un’infermiera a bordo. Nel frattempo il marito, ricordando il corso di Primo Soccorso del Brevetto di Salvataggio, le opera la respirazione bocca a bocca, ma dal naso, dato che le mascelle della donna sono serrate. A più riprese, liberando la bocca dal vomito e dal muco, C. inizia nuovamente a respirare, ma l’atto respiratorio è profondo, quasi un rantolo.

Nel frattempo il marito si industria per farla rinvenire, cercando di ricorrere a tutti gli escamotage applicabili in simili casi. La scuote e la chiama a gran voce, il suo corpo è completamente rilassato e braccia e gambe vanno per conto loro. L’operatrice del 118 è comunque stata costantemente in contatto con il marito e si informa sulle condizioni della donna ogni 5-10 minuti circa. Arrivano i militi della Croce Bianca ed anche l’auto medicale. La dottoressa si avvicina alla signora C. e cerca anch’ella di rianimarla. Le controlla gli occhi alzandole le palpebre, le misura la pressione, il battito cardiaco e chiede di sapere a seguito a cosa ciò si sia verificato. Il marito spiega della preparazione all’esame colonscopico e fornisce alla dottoressa il foglio con il quale la donna è stata dimessa dal Pronto Soccorso di Albenga poche ore prima.

Per la dottoressa a tal punto non vi sono più dubbi: la signora C. è in preda ad un violento attacco epilettico causato dall’eccessivo calo della concentrazione dei sali nel sangue e le pratica una flebo nel braccio. La donna, che aveva già iniziato a riprendersi, si trova ora in uno stato di totale incoscienza e non riconosce nessuno. La dottoressa intima ai militi il ricovero della signora C. presso il Pronto Soccorso di Santa Corona, a Pietra Ligure.

Non appena giunti a Santa Corona, C. viene immediatamente condotta nel PS Reparto Urgenze e le vengono praticati tutti gli esami necessari: ElettroEncefaloGramma, ElettroCardioGramma, TAC, esami del sangue mirati a stabilire i valori degli ioni sodio e potassio e nel frattempo viene reidratata mediante flebo. I valori di sodio nel sangue erano scesi a 102 ed il potassio a 3. I dottori del PS di Santa Corona hanno preso a cuore lo stato della donna e la stessa, dopo circa 48 ore di degenza presso la stessa unità, nella tarda mattinata di sabato 17 ottobre 2009 è stata dimessa, dopo aver attentamente monitorato il decorso dell’episodio invalidante ed essersi debitamente accertati dello stato di salute della paziente.

Di questa brutta esperienza, nei soggetti che l’hanno vissuta, restano due sentimenti diametralmente opposti, ma assolutamente emblematici. Da una parte la paura di chi si è trovato in questa circostanza, ampiamente dovuta alla leggerezza con la quale i medici hanno praticato le cure durante il malore, e dall’altra la rabbia verso persone e strutture che non hanno saputo cogliere la gravità dell’episodio quando, al PS di Albenga, la signora C. era già in preda ad una crisi epilettica le cui cause sono state ampiamente suesposte.

Quando si tratta con esseri umani occorre veramente rileggersi attentamente ed applicare in ogni singolo punto il Giuramento di Ippocrate: il valore di una vita è inestimabile e non può essere affidato a persone svogliate, incompetenti, negligenti…

A mente fredda e con il suffragio di documentazioni e testimonianze, gli sventurati coniugi troveranno di certo il modo per denunciare pubblicamente questo ennesimo caso di “malasanità”, affinché chi ne ha l’autorità prenda i dovuti provvedimenti e che nessuno, meno fortunato, debba più incorrerci.

Si ringraziano il 118, la Croce Bianca di Albenga – Sezione di Garlenda ed i medici del Pronto Soccorso di Santa Corona che ci hanno assistito con competenza, impegno e dedizione.

Paolo Marino

Albenga, 22 ottobre 2009

- Allegato -

Il Giuramento di Ippocrate è il giuramento che medici ed odontoiatri prestano prima di iniziare la professione. Prende il nome da Ippocrate che lo formulò nel 430 a.C.

Giuramento Moderno

Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro:

·di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;

·di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

·di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l'eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;

·di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;

·di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;

·di promuovere l'alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l'arte medica;

·di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;

·di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;

·di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali;

·di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;

·di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

·di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;

·di prestare assistenza d'urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell'autorità competente;

·di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;

·di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.

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28 Ottobre 2009 - Scrivi un commento
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Un lettore ha commentato questo articolo:
1/11/09 15:33, adolfosibilio ha scritto:
grazie a Dio la sig, C. ha superato il drammatico momento provocato appunto, come spiegavi nella lettera, dalla negligenza di gente messa li sicuramente da incompetenti e da un sistema che ormai è sempre più fragile purtoppo con tutti i rischi a danno di chi ci capita (momento e posto sbagliato). E' cosa che deve finire, dobbiamo architettare un programma che interrompa questa routine e penso che la cittadinanza dovrebbe cominciare a denunciare alla polizia ogni malcostume di cui viene a conoscenza e nel ns caso della sig.C. l'associazione, di supporto, deve costituirsi insieme come parte offesa.-
cari saluti a tutti da Adolfosibilio
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