Durante il recente workshop di Napoli - un seminario il cui obiettivo era determinare con esattezza il declino della popolazione di coralli - gli Stati Uniti hanno proposto di inserire questa specie nell’annesso due della convenzione di Washington per la difesa delle specie a rischio (Cites). L’annesso due è l’elenco di specie che si possono vendere solo con una certificazione che attesti la legalità del processo di produzione.
Le cause della riduzione del numero di coralli sono l’inquinamento, il riscaldamento globale, ma soprattutto il rastrellamento del fondo del mare attraverso il quale si ricava quell’oro rosso con cui si intagliano collane da 200.000 euro.
Se un tempo bastava scendere in apnea di una quindicina di metri, (dove crescevano coralli lunghi mezzo metro), oggi bisogna scendere oltre 100 metri di profondità per trovare rametti di pochi centimetri. Le reti a strascico erano dunque negli anni Ottanta un metodo diffuso di ottenimento del corallo.
Eppure la pesca del corallo viene difesa per vari motivi: “Troppe nuove regole potrebbero mettere in crisi le piccole aziende artigianali del settore”, spiega Costanza Aprea dell’azienda caprese Chantecler. Vi è anche la tradizione: la lavorazione del corallo è un arte che esiste da oltre 5.000 anni. Gli Stati Uniti d’altronde, hanno tenuto conto di tutto ciò: “Noi siamo favorevoli alla gestione locale e nazionale delle risorse. Purché però questa gestione sia sostenibile.” spiega il capo della delegazione Usa al workshop di Napoli, David Cottingham. “Con ogni probabilità chiederemo l’inserimento nell’annesso 2 della Cites”.
Il tempo stringe, a marzo la Cites si riunirà a Doha per determinare se alcune specie - come il corallo e il tonno rosso - siano da considerare ‘in via di estinzione’.
L’Italia e alcuni paesi del Nord Africa però, non hanno ancora preso ufficialmente posizione.
“Nel nostro mare è già andato perso il 90% delle colonie riproduttive”, spiega Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf. “In Campania, come in Sicilia e in Calabria, si pescava la materia prima. Oggi è il deserto, solo in Sardegna si riesce a trovare ancora qualcosa”.
Pratesi conclude: “Proprio perché da noi c’è un mercato importante abbiamo interesse a difendere il corallo per poter continuare a lavorarlo a lungo”.
13 Ottobre 2009 - Scrivi un commento