Pochi sanno tuttavia che la sperimentazione animale si annida persino nell’industria che produce cibo per animali, il cosiddetto ‘pet food’, pur non essendo affatto obbligatoria per legge; elemento questo che aggrava le responsabilità e rende eticamente molto meno accettabili le politiche aziendali di alcune multinazionali leader del settore. Dalle scatolette ai croccantini, dagli ossi vitaminici alle ‘diete’ terapeutiche: ognuno di questi prodotti viene testato su animali per valutarne la tossicità o l’efficacia curativa rispetto ad alcuni disturbi.
Un business responsabile della condizione di prigionia e sofferenza di molti animali, afflitti dai sintomi di malattie che vengono loro indotte artificialmente in laboratorio al fine di poter poi testare l’efficacia di qualche crocchetta studiata ad ‘hoc’ per ogni patologia. Sui siti delle più note marche di cibo per animali, che praticano massicciamente la sperimentazione, si possono trovare decine di formulazioni diverse di crocchette per ogni disturbo dal diabete all’artrosi, dalle dermatiti alle patologie dentali, persino alcune che curerebbero l’invecchiamento celebrale o problemi cardiaci del nostro amico a 4 zampe!
Per la metà dei disturbi che queste diete ‘scientificamente testate’ curerebbero, il veterinario vi dirà che è sufficiente un cibo più leggero, un giusto equilibrio tra carne e verdure nella ‘pappa’, più attività motoria o l’eliminazione di alcuni alimenti; senza la necessità di acquistare costosi prodotti e alimentare così un business implicato nella morte di molti animali, ai quali la sorte non ha riservato né una casa e né una strada, ma lo stabulario di un laboratorio.
Il mercato del pet food è una branchia del settore dell’industria della carne per consumo umano, affermatosi grazie alla possibilità di riutilizzare con profitto e quindi di capitalizzare una notevole mole di scarti, i quali, per evidenti ragioni igieniche, sarebbero altrimenti destinati al macero. Un 50% del volume della carcassa dell’animale ucciso è considerato sottoprodotto e diventerà quindi pet food, entrando a far parte di quel composto - ripugnante per il nostro olfatto - contenuto nelle scatolette che compriamo a Fido: ossa, sangue, intestini, tendini, legamenti, mammelle, esofagi e, probabilmente, le parti malate o cancerose degli animali macellati sono gli ingredienti del mix variegato che poi viene presentato sottoforma di crocchette confezionate in un sacchetto accattivante con un Fido felice e soddisfatto davanti alla sua ciotola (?).
Si stima che più del 50% delle farine di carne siano contaminate dai pericolosi batteri di E.Coli. La cottura prevista dal processo può uccidere tali batteri, senza tuttavia eliminare le endotossine rilasciate dagli stessi; in questa fase non sempre si riescono ad annientare nemmeno gli ormoni (usati per far ingrassare il bestiame), ne' gli antibiotici o i barbiturici (usati come anestetici). In compenso le alte temperature raggiunte per le farine possono alterare gli enzimi e le proteine che si trovano nella "materia prima" riducendone il già basso potere nutritivo.
Già da questi pochi elementi si può capire perché alcuni veterinari sostengono che nutrire il proprio cane o gatto con gli scarti della macellazione, per l’esattezza con il pet food confezionato, aumenta il rischio di cancro e di altre malattie degenerative: la presenza di sostanze tossiche nei tessuti degli animali macellati, dovuta ad un tipo di allevamento - quello intensivo - richiede un uso massiccio e sconsiderato di antibiotici e altri medicinali per far si che gli animali non si ammalino date le pessime condizioni igieniche in cui versano (assenza di arieggiamento e luce naturale, altissima concentrazione di capi, aria insalubre, ecc).
Ma non è ancora tutto. L’industria deve infatti cercare di confezionare un prodotto che in definitiva piaccia a Fido, altrimenti il padrone vedendolo inappetente …cambierà marca! E’ fuori di dubbio che una poltiglia composta dagli ingredienti sopracitati non può avere i requisiti di appetibilità e bontà per un cane, a meno che non si tratti di un randagio a digiuno da giorni. Dunque, come porre rimedio all’aspetto e all’odore poco invitante di questo mix di scarti per di più contaminati? Ecco che servono degli ‘appetizzanti’: per esempio il grasso animale riciclato, o gli oli troppo rancidi e classificati come inadatti per gli umani sono usati a questo scopo e vengono spruzzati direttamente sulle crocchette, sui ‘bocconcini’ e sui ‘patè’ prima del confezionamento.
Uno scenario allarmante, sia per il contenuto che in definitiva Fido si ritrova nella ciotola tutti i giorni e che a lungo andare non può non ripercuotersi sulla sua salute, sia per i tremendi e inutili esperimenti praticati su animali, fatti per assecondare le ragioni del marketing e non certo la salute dei nostri animali. Un panorama che fortunatamente non accomuna tutte le aziende produttrici di pet food. Ve ne sono alcune, per lo più piccole poco note perché non reclamizzate, che impostano la loro politica in modo del tutto differente, si potrebbe dire senz’altro più dal punto di vista dei cani e dei gatti: privilegiano la qualità degli ingredienti di base e si schierano contro ogni pratica di sperimentazione animale.
Alcune infine hanno un’offerta di prodotti vegan e diete curative, ottenute queste ultime con l’addizione di estratti vegetali, di tipo fitoterapico e quindi del tutto naturale (per esempio il Ginseng, la Rosa canina e l’Ananas hanno un forte potere antiossidante e antinfiammatorio, la Yucca è una pianta che agisce a livello intestinale migliorando la digestione, il lievito di birra infine è una preziosa fonte naturale di vitamine del gruppo B).
In quest’ottica decisamente attenta all’ambiente e alla naturalità del prodotto la sperimentazione su animali non è ovviamente contemplata, o meglio l’unico test che praticano queste aziende è quello dell’appetibilità del cibo. Come si esegue? Si somministra il prodotto ad un campione di qualche decina di cani (cani in famiglia o rifugi), e si osserva il livello di gradimento. Insomma se il cane mangia di buon gusto la pappa è buona, altrimenti no: molto semplice, ma efficace e soprattutto non cruento. Data l’assenza di additivi chimici o sottoprodotti potenzialmente pericolosi il test punta infatti esclusivamente a valutare il sapore del cibo, non una sua eventuale tossicità, perché non ve ne sarebbe evidentemente motivo.
Si riporta in questo articolo un elenco aggiornato delle principali marche ‘SI’, quelle che non alimentano la vivisezione e garantiscono una maggior genuinità del prodotto, seguito dalle marche ‘NO’ da evitare accuratamente, (si veda la foto ingrandibile proposta poche righe più sopra) perché oltre ad essere responsabili di crudeli esperimenti su cani e gatti sono proprietà di multinazionali, che notoriamente perseguono la politica del profitto ad ogni costo.
Scegliere di acquistare le marche SI e boicottare le marche NO è un’azione concreta, forte, ed efficacissima che ognuno può fare per combattere la vivisezione. In particolare le marche dell’elenco positivo dichiarano di non effettuare né commissionare a terzi test su animali di alcun tipo per i loro prodotti. Si tratta in genere di un’autocertificazione aziendale che viene evidenziata sul sito attraverso uno spazio dedicato alla comunicazione dell’eticità del prodotto, in cui si certifica la propria estraneità ai test sugli animali, spesso accompagnata dall’apposizione del logo ‘cruelty free’ (coniglietto).
Alcune aziende per acquisire maggior credibilità presso i clienti rispetto a questa loro politica ottengono anche una sorta di certificazione da parte di alcune associazioni animaliste, come per esempio Salut Pet garantita da OIPA, Aniwell da PETA, Arovit da PETA UK. E’ possibile quindi non solo sfamare ma anche assecondare i gusti e i capricci alimentari dei nostri amici pelosi senza arrecare sofferenza e morte ad altri cani o gatti, e tutelare la loro salute con una terapia di prevenzione, che consiste innanzitutto nel somministrargli ingredienti sani e naturali.
Per approfondire:
Report dell'API 'What's really in pet food'
Fido non si Fida
Aprire una scatoletta e versarne il contenuto nella ciotola del cane o del gatto. provare, almeno una volta... Continua... |