L'Urlo

Chernobyl e l’antipolitica, dai Verdi a Grillo

“Se una quota consistente dell’elettorato italiano affida il proprio consenso alla cosiddetta antipolitica, viene da domandarsi se la sola e vera antipolitica non sia piuttosto quella contro cui i presunti antipolitici si battono”

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di Giorgio Cattaneo

parlamento
Da Chernobyl in poi, la temuta antipolitica dei Verdi ispirò una inedita mutazione nel corpus legislativo italiano
Prima del 26 aprile 1986, malgrado fossero rappresentati da personalità del valore di Alexander Langer, Gianni Mattioli e Massimo Scalia, i Verdi italiani erano considerati un club di stravaganti, nient’altro che acchiappanuvole, un circolo di accademici saccenti e debitamente snob. La tragedia del reattore nucleare di Chernobyl cambiò tutto: da quel momento l’ecologia fece irruzione nell’agenda politica. Agenda nella quale, in precedenza, non aveva cittadinanza: prima di Chernobyl, infatti, i paladini dell’ambiente erano relegati nel limbo malfamato dell’antipolitica. Potevano essere al massimo rispettati o meglio tollerati, come nel caso di Antonio Cederna, presidente di Italia Nostra: profeti scomodi, sgraditi al salotto della politica nazionale.

Da Chernobyl in poi, la temuta antipolitica dei Verdi ispirò una inedita mutazione nel corpus legislativo italiano, favorendo l’introduzione – per la prima volta nella storia – di un complesso dispositivo di leggi a tutela del suolo, dell’aria e delle acque. Fu una autentica rivoluzione culturale, i cui contenuti vennero sostanzialmente e gradualmente assimilati dal Parlamento della Prima Repubblica, che li utilizzò per adeguare il profilo normativo italiano, in materia ambientale, a quello di alcune tra le più avanzate nazioni europee.

Prima ancora dell’implosione degenerativa dei Verdi, poi impantanati anch’essi nelle logiche di potere della politica tradizionale, la “rivoluzione” verde, quella primigenia, osteggiata al suo nascere e bollata come antipolitica, vinse la sua battaglia. In palio non c’era l’exploit elettorale di una singola formazione politica, ma il miglioramento generale della qualità della vita: un risultato democratico, trasversale, da condividere fra tutti i partiti e tutti i cittadini.

bossi
Quella della Lega Nord è un'altra esperienza classificata come antipolitica
Dopo l’esordio dell’antipolitica dei Verdi, all’inizio degli anni ’90 seguì l’altra grande esperienza allora classificata come antipolitica: quella della Lega Nord, che supportò il picconamento della Prima Repubblica. La “casta” allora al potere diffidava della Lega e la ostacolò in ogni modo, classificandola indegna ed escludendola a lungo dalla società politica italiana. Malgrado ciò, la Lega conquistò il suo elettorato in nome della necessità inderogabile di istituzioni politiche più vicine ai cittadini, più controllabili, più democratiche. Come si è visto, di strada, l’antipolitica della Lega Nord ne ha fatta parecchia.

In Italia, l’antipolitica è ormai la principale chiave d’accesso al mercato elettorale. Persino Silvio Berlusconi, nel 1994, si presentò come nuovo soggetto politico, antropologicamente estraneo al vecchio regime dei partiti. E il suo più acerrimo avversario, Antonio Di Pietro, è oggi – insieme a Bossi – il dominatore della borsa elettorale; l’erede di Mani Pulite sfoggia un elevato potenziale di rottura, che da più parti viene definito antipolitico, accanto a quello dell’ultimo rumoroso alfiere dell’antipolitica italiana, Beppe Grillo.

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Beppe Grillo: ultimo rumoroso alfiere dell’antipolitica italiana
Se si considera che gli autori di queste frettolose definizioni lavorano nell’infotainment radiotelevisivo e nella carta stampata, si può concludere che oggi in Italia – ancora una volta, malgrado trent’anni di sonore smentite – a parlare di antipolitica siano gli stessi editori che, nell’arco di tre decenni, non hanno esitato a bollare come espressione dell’antipolitica i maggiori protagonisti del cambiamento della scena italiana: i Verdi, la Lega Nord, Berlusconi, Di Pietro. Visto il puntuale successo da essi ottenuto, è da ritenere molto lusinghiera l’accoglienza riservata a Grillo, subito bollato come estremo principe dell’antipolitica.

Se dunque una quota consistente dell’elettorato italiano affida il proprio consenso alla cosiddetta antipolitica, viene da domandarsi se la sola e vera antipolitica non sia piuttosto quella contro cui i presunti antipolitici si battono. Anche le espressioni oggi meno rilevanti sul piano elettorale, come il partito comunista di Paolo Ferrero o il partito radicale di Marco Pannella, si sono sempre qualificate come alternative rigorose rispetto all’establishment, rappresentato dal sistema dei partiti maggiori. Facendo un calcolo arbitrario delle forze in campo, calcolo non politico ma meramente aritmetico, si scoprirebbe che oggi la cosiddetta antipolitica ha un peso elettorale sempre più importante, accompagnato dalla consistenza sempre maggiore dell’area dell’astensionismo.

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"Barack Obama può essere certamente considerato di gran lunga il più pericoloso degli antipolitici in circolazione"
In molti modi, quella che agli editori italiani piace ancora definire antipolitica sta lanciando l’ennesimo messaggio alla nazione, al quale l’establishment reagisce come sempre. Ai nuovi protagonisti della cosiddetta antipolitica si offre oggi la prospettiva, del tutto inedita, di elaborare una piattaforma di contenuti sulla quale far convergere il maggior numero di forze. A dettare l’agenda sono le emergenze di una crisi sempre più vasta. Servono idee e soluzioni da proporre: non per erigere nuovi steccati elettorali e ideologici, ma per offrire alternative praticabili all’intera comunità nazionale, unendo le risorse sociali, culturali, politiche ed economiche.

La storia degli ultimi trent’anni lo conferma: nei momenti di maggiore crisi, è proprio l’antipolitica a dettare i suggerimenti più utili; dapprima sono accolti con sufficienza e diffidenza, ma finiscono poi con l’essere accettati e, almeno in parte, assimilati. Il sequestro del futuro rappresenta oggi l’angoscia maggiore: il futuro, semplicemente, non viene più neppure percepito come prospettiva dotata di una fisionomia precisa. La politica, quella dei partiti principali, è più che mai incerta, alle prese con vecchi rimedi, sempre meno efficaci. Tocca ancora una volta all’antipolitica il compito di riformare la politica? Naturalmente, è questione di termini: stando all’alfabeto della politologia italiana, uno come Barack Obama può essere certamente considerato di gran lunga il più pericoloso degli antipolitici in circolazione.

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2 Settembre 2009 - Scrivi un commento
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