Liberiamo le galline da una vita ‘bestiale’

Gli avicoltori si ribellano alla legge che li obbliga ad aprire le gabbie per far vivere le ovaiole in condizioni meno barbare.

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di Daniela Mazzoli


Gli ovicoltori italiani, dal 1999 ad oggi, hanno usufruito di fondi pubblici, frutto delle tasse pagate dai cittadini, per mettersi in regola: un decreto legislativo della Comunità Europea ha, infatti, stabilito che dal 1 gennaio 2012 le galline ovaiole non dovranno più crescere e produrre in batteria.

Da nove anni a questa parte, dunque, gli impianti di allevamento delle galline avrebbero dovuto adeguarsi alle nuove normative di ‘civiltà’ che si riferiscono al rispetto dovuto a ogni essere vivente. Bene, quei fondi sono stati incassati ma per altri scopi, probabilmente.

Perché è proprio di questi giorni il tentativo, avanzato dal Ministero della Salute su sollecitazione dei produttori, di rinviare la data dal 2012 a un futuro ancora più lontano. Le galline, sembra incredibile, vivono in gabbie piccole come un foglio A4, quello che serve a stampare questo articolo. Certe volte sui fogli A4 ci stanno strette persino le parole, figuriamoci delle povere galline! Vivono così per tutta la vita, che non è lunga visto le condizioni di salute: niente scorrazzamenti nell’aia, niente sonno (le luci restano accese giorno e notte per farle produrre il doppio), niente aria fresca tra le penne.

Impazziscono, perdono il senso dell’orientamento, si mangiano tra di loro. Sottratte al loro habitat naturale, le galline perdono il controllo, producono in maniera meccanica, sempre più faticosamente. Per non farle ammalare vengono imbottite di antibiotici e altre medicine, che –inutile dirlo- finiscono direttamente nell’uovo prodotto.

Le galline si ammalano di osteoporosi e di depressione, vengono ‘spremute’, sfruttate, muoiono in condizioni pietose, ovviamente prima del tempo: durano più o meno un anno, poi le aspetta il macello. Sembra un’assurdità ma chiunque possieda un animale capisce benissimo di cosa si tratti.

Quelle in cui vivono queste creature, nostre benefattrici, sono gabbie ai limiti del lager. E infatti, dando un’occhiata alle immagini –poche per la verità- che ne documentano lo stato, si resta come scioccati, non si riesce a credere all’ennesimo scempio commesso dall’economia sulla natura. Naturalmente allevare galline in questo modo costa molto meno che creare ambienti più salutari, spazi all’aria aperta, mangime decente, un ciclo di vita diurna e notturna regolari.


Resta da capire se le uova così prodotte siano destinate al consumo diretto o non vadano invece a servire l’industria dolciaria o quella della pasta all’uovo. Perché è vero che per il consumo diretto ognuno ha modo di controllare la provenienza delle uova (basta guardare la cifra sui gusci e non acquistare quelle con il numero 03) ma le uova servono un mercato assai più vasto e meno controllato e di qualità molto scadente, su cui il consumatore non ha alcuno strumento di difesa e nessuna possibilità di scelta consapevole.

Il dato è che, ad oggi, l’88% della produzione avviene in batteria. Di quell’88% non fanno parte le galline di mia nonna, che hanno un piccolo spiazzo in cui passare il giorno, vengono richiuse al tramonto e la riconoscono quando arriva a portare il cibo. Vanno matte per le bucce di cocomero, e quando mangio le torte fatte con le loro uova di sente che c’è dentro il sapore della gratitudine, di una semplice felicità.

11 Marzo 2008 - Scrivi un commento
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Un lettore ha commentato questo articolo:
25/6/09 13:30, Kaleela ha scritto:
Povere bestie..... Ma ce la faremo prima o poi a risanare un po' questo mondo malato?
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