A corto di carbone

Mentre il petrolio sembra iniziare la sua parabola discendente, il carbone viene candidato come possibile sostituto. Ma le prospettive appaiono limitate: ricerche recenti svelano un’inaspettata scarsità delle riserve, finora taciuta da governi e industria.

CONDIVIDI: Condividi su Facebook Condividi su Ok Notizie Condividi su Fai Informazione Condividi su del.icio.us Condividi su Twitter Condividi su Digg Condividi su Technorati Condividi su Google

di Stefano Zoja


Cataste di carbone
Nelle ultime settimane diversi blackout hanno colpito il Sudafrica. Fra le cause, un’inattesa carenza nelle riserve di carbone. In Cina, in seguito ad alcune tempeste di neve di forza inusuale, sono state bloccate le esportazioni di carbone fino a tutto aprile. Una storia analoga coinvolge il principale esportatore mondiale del combustibile fossile, l’Australia, dove lunghe code di cargo pazientano fuori dai porti industriali, in attesa di quei carichi che recenti inondazioni dei giacimenti hanno impedito.

Il carbone, si dice, dovrebbe essere il più immediato e pratico – ancorchè il più inquinante – sostituto del petrolio, quando questo, un giorno distante pochi anni, avrà raggiunto il suo picco e la produzione comincerà a decrescere. Eppure, più che proporsi come il continuatore dell’epopea fossile, il carbone sembra condividere le limitate prospettive del greggio. Le parole picco, riserve ed emissioni lo riguardano ogni giorno di più, e l’ultima similitudine in ordine di tempo è significativa, perché viene dal mercato: anche il carbone ha superato di recente la soglia psicologica dei 100 dollari (a tonnellata). E ha proseguito fino ai 140 attuali, il massimo storico, segno che la domanda cresce, che esistono delle contingenze sfortunate (quelle meteorologiche, per esempio), ma anche, si capisce, che sta aumentando l’inquietudine sulla disponibilità reale del minerale.

Il World Energy Council stimava a fine 2006 l’esistenza di riserve per 847 miliardi di tonnellate. Calcolando la produzione mondiale in 6 miliardi di tonnellate all’anno, la valutazione lascia credere che per oltre un secolo non si dovrebbe rischiare alcuna carenza di carbone. Ma diversi istituti contestano sia queste cifre che la loro lettura.

Un primo esempio viene dall’Istituto per l’Energia europeo, che utilizza un indicatore – la proporzione fra riserve e produzione (R/P) – che permette di stabilire per quanti anni ancora una data risorsa sarà disponibile. Nel 2000 il valore era di 277 anni, mentre nel 2006 era sceso a 144. Oltre un secolo di aspettativa bruciato in sei anni, a causa dell’impennata della domanda di carbone – si pensi alla Cina, che costruisce in media una nuova centrale a carbone alla settimana.


Minatori in Cina
Quali saranno le conseguenze sulle riserve esistenti se la domanda continuerà a crescere a questo ritmo? E quali le reali politiche ambientali degli stessi paesi leader europei se l’Inghilterra, proprio in questi mesi e dopo trent’anni di stop, si sta chiedendo se aprire la prima di nuova serie di centrali a carbone?

Ulteriori critiche vengono da Energy Watch, un gruppo di studio europeo che monitora il mercato dell’energia. In un rapporto dell’anno scorso gli scienziati sostengono che le cifre oggi disponibili rappresentino, nel migliore dei casi, la più ottimistica delle previsioni, e spiegano che questi numeri sono tutt’altro che provati scientificamente.

Energy Watch mostra come le stime ufficiali delle riserve cinesi siano invariate dal 1992, come se in quindici anni non si fosse estratto nemmeno un grammo di carbone. E se diversi stati esibiscono riserve inalterate, in altri, come Gran Bretagna e Germania, le revisioni delle cifre hanno portato a ridemensionamenti delle riserve superiori al 90%, ben oltre il risultato della semplice attività estrattiva. Considerazioni che hanno portato Energy Watch a rivedere le cifre presentate da ogni stato e a proporre una propria stima, che pone il picco del carbone intorno al 2025. Se queste nuove cifre fossero confermate, ne deriverebbe una seria ipoteca sui destini di questa risorsa.

Le conclusioni di Energy Watch proseguono poi in una direzione inattesa. Meno carbone disponibile significa meno emissioni di CO2 nell’aria. Il risultato paradossale di queste valutazioni è di sconfessare alcuni timori dell’IPCC sul riscaldamento globale. Proiettando al 2070 il livello di inquinamento producibile da queste ridimensionate riserve di carbone si ottiene una concentrazione di CO2 nell’atmosfera di “sole” 460 parti per milione, con un superamento minimo di quella soglia di 450 ppm che è stata stabilita come quella limite di riscaldamento globale tollerabile. Al netto di altre considerazioni, questa inattesa conclusione significa che, anche senza prendere alcuna contromisura, l’uso intensivo di carbone nei prossimi decenni porterebbe a malapena allo sfioramento della soglia di rischio stabilita dall’IPCC. Sarebbe lo scenario meno allarmante fra i quaranta ipotizzati nel Rapporto di Bali.


interno di una centrale a carbone
Concludere, però, che la revisione al ribasso delle disponibilità di carbone consentirebbe di rilassare le politiche ambientali, è un azzardo che pochi sono disposti a sostenere. Non lo sono quegli scienziati che si chiedono cosa succederebbe se le cifre di Energy Watch fossero, anche di poco, imprecise. Né lo sono gli stessi studiosi di Energy Watch, un’organizzazione il cui impegno contro il riscaldamento globale non si può discutere. Rutledge, uno degli scienziati del gruppo, spiega che sebbene sia probabile che le disponibilità di combustibili fossili prese in consideraione dall’IPCC siano sovrastimate, è vero anche che il Rapporto di Bali non prende in considerazione alcune recenti scoperte per cui la variabilità del clima in rapporto alle emissioni di anidiride carbonica sarebbe superiore a quanto finora ritenuto.

Insomma, da qualunque parte si guardino le cifre, resta comunque la sensazione che la coperta sia corta. Se petrolio e, in seconda battuta, carbone sono anora disponibili in quantità elevate, si rischia seriamente lo sforamento dei parametri di Bali. Se invece, come suggeriscono le ricerche più recenti e critiche, il picco del petrolio è imminente bisogna predisporre qualcosa. Il carbone, oltre a essere sporco, è troppo poco: il suo picco dovrebbe essere parecchio più vicino del previsto e i suoi valori inquinanti ci proietterebbero comunque troppo vicini alle soglie limite. La conclusione, dalle parti di Energy Watch e altrove, è ancora e fortemente legata alle rinnovabili.

10 Marzo 2008 - Scrivi un commento
Ti � piaciuto questo articolo? Cosa aspetti, iscriviti alla nostra newsletter!

E-mail
Arianna Editrice
Macro Credit
Mappa Mondo Nuovo
PAROLE CHIAVE
LIBRI CONSIGLIATI
Un Futuro Senza Luce?

Il nostro sistema energetico spreca e disperde nell'atmosfera più energia di quanta ne utilizzi....
Continua...
Salvare l'Ambiente Conviene

Quello di Jacopo Fo è un libro di valide e ragionevoli alternative all’insegna di un duplice...
Continua...
EBooks - Come Evitare la Trappola Nucleare

Anteprima ebook 1987: con un referendum abrogativo gli italiani dicono NO al nucleare.2007: nonostante la...
Continua...
Risparmiare sui Consumi

Risparmiare energia, ridurre i consumi, riciclare correttamente i rifiuti: ecco una guida agile per...
Continua...
ULTIMI ARTICOLI PUBBLICATI
TERRANAUTA TV
Alex Zanotelli e la privatizzazione dell'acqua
Altri video su TERRANAUTA TV...
ARTICOLI CORRELATI
ULTIMI COMMENTI
gian_paolo ha commentato l'articolo Nucleare e salute, un'altra ragione per dire no
carlo ha commentato l'articolo Quel che resta del Polo
linda maggiori ha commentato l'articolo Latte materno, diossine e Pcb
Simone ha commentato l'articolo Prahlad Jani, l'asceta che si autoalimenta da 74 anni
grazia ha commentato l'articolo Orti urbani: sostenibilità e socialità