È il caso di un libretto appena uscito per le edizioni Elèuthera, che ci racconta dell'incontro e incrocio delle diverse arti culinarie del mondo così come si stanno condensando nelle cucine del meticciato reale, culturale e gastronomico delle nostre grandi città.
Andrea Perin, architetto museografo con la passione delle tradizioni alimentari, ha percorso per noi una ricerca su come i nuovi popoli che abitano il nostro paese e una stessa parte del popolo italiano (che si caratterizza culturalmente tantissimo per la propria gastronomia), stiano, nel silenzio delle proprie cucine, sperimentando sapori nuovi, ibridando le conoscenze culinarie e inventando nuovi e squisiti piatti.
Sono, come dice il titolo, tutte “ricette scorrette”, raccontate in prima persona e che non si vedono sui libri di cucina abituali. Invenzioni individuali, capaci di suscitare sapori imprevisti e deliziosi. Ma non ci si trova di fronte a un semplice ricettario ma a racconti, autobiografie di cuochi improvvisati che miscelano, aggiungono, stravolgono le “icone” culinarie tradizionali in maniera appunto “scorretta”.
I protagonisti delle interviste risiedono principalmente a Milano e dintorni e offrono un panorama piuttosto variegato. Ritroviamo italiani “convertiti” a cucine etniche di altri continenti o africani e cinesi che hanno imparato o adattato ai propri gusti le delizie della cucina tradizionale italiana.
Tutti i continenti sono più o meno rappresentati e le ricette spaziano dal “Macarone cu brnzà” dei Rom (pasta, zucchero, uova e quartirolo) ai centrafricani “Spaghetti all'okra” (spaghetti, okra, cipolla, peperoncino, olio), dalle cubane “Lenticchie con le banane” (lenticchie, banane, cipolle, basilico, olio) ai cinesi “Gnocchi di riso al ragù” (gnocchi di riso, ragù). Una miscela esplosiva di gusti e sapori invitante e da sperimentare.
Che apre anche la mente oltre che lo stomaco. E di quanto ce ne sia bisogno ce lo illustra l'autore nella parte introduttiva.
In Italia, secondo un sondaggio svolto dal Censis nel 2006 solo il 2% della popolazione consuma abitualmente cibi etnici, il 13,3% lo fa saltuariamente e l'84,7% mai. Ed è una situazione tutta italiana. In Francia si ciba regolarmente di alimenti e piatti stranieri il 10% della popolazione. In Gran Bretagna il 6,2%, in Spagna il 4,9% e in Germania addirittura il 16,6% (e solo il 24% mai). Il 18 gennaio 2008 in tutto il mondo si è celebrato il carbonara day e nel 2009 il risotto alla milanese day.
Certo va considerato che la situazione italiana è unica. Il confronto con le altre cucine in effetti è difficile data l'estrema varietà e ricchezza della sua tradizione gastronomica che rappresenta anche un forte senso di identità nazionale.
Tuttavia i cittadini stranieri in Italia oscillano tra i 3,8 e i 4 milioni (stima del 2007) e sarebbe ora di aprirsi al confronto abbandonando le paure e scambiandosi il meglio delle proprie culture.
Anche la cucina rientra in questa possibilità di scambio. Ovviamente se si pensa ai valori e alle pratiche del bioregionalismo, della filiera corta e del cosiddetto “chilometro zero” praticato dai Gruppi d'acquisto solidale, da associazioni culturali come Slow Food ecc. capiamo senz'altro che far girare attorno al mondo tonnellate di cibo con tutti i problemi ecologici ed economici che questo comporta non sia proprio del tutto conveniente e convincente.
D'altra parte, però, va comunque preso atto che la convivialità, la condivisione, la disponibilità all'altro passano tutte attraverso la reciproca conoscenza dei propri mondi. E credo che forse si possa “tagliare” (dal punto di vista ecologico) in altri ambiti che non in questo. O perlomeno non essere “integralisti” in tal senso.
In effetti, anche il pensiero unico dell'alimentazione identitaria fa spavento. Del resto, pensare che le pratiche culinarie siano immutabili fa sorridere qualsiasi storico dell'alimentazione. Idem per quanto riguarda la presunta e decantata “purezza” dei popoli di fronte a trasmigrazioni oceaniche che hanno attraversato tutti i secoli da che esiste l'umanità. E la realtà rimane. Non ci si può non confrontare con gli stranieri e ovviamente con le loro tradizioni culturali tra cui la cucina.
Mangiare, oltre che un atto dovuto per il mantenimento della propria salute, piacere e vitalità, è anche sostanzialmente un atto sociale e politico. La scelta di cosa cibarsi ha effetti sulla propria salute ma anche sull'ambiente, sull'economia locale e globale, sulle condizioni di lavoro ecc. Ma il cibo ha anche un valore simbolico e identitario.
Oggigiorno può sembrare eretico affermarlo, ma ci sono dinamiche umane al di sopra dei meccanismi strettamente ecosistemici. O perlomeno che potrebbero ovviarvi con altri percorsi non direttamente immaginabili. Un'umanità armonica e non gerarchizzata in strutture statali scioviniste e solo “business oriented” sarebbe sicuramente in grado di trovare soluzioni ecologiche e umanitarie per risolvere in breve tempo tutte le maggiori problematiche ambientali, economiche e sociali.
Utopia? Non più di quella che vorrebbe in cucina, ad esempio, il “ritorno” istituzionalizzato e xenofobo alla polenta di mais tipica della “nostra” tradizione come auspicava tra le altre cose qualche anno fa la rivista Quaderni Padani: ma qualcuno si ricorda da dove viene questo cereale “padano”?
In sostanza, come ha arguito l'indimenticabile Pietro Gori, “nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà”. Per, come dice l'autore, «oltrepassare le barriere dell'identità».
Andrea Perin, Ricette scorrette. Racconti e piatti di cucina meticcia, Elèuthera, Milano, 2009, pp. 144, Euro 13,00
2 Luglio 2009 - Scrivi un commento